Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/107

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LIBRO PRIMO 87

monarca ai soli benvolenti suoi, ascrivendo le persiane leggi a regal dono e grazia la facoltà di portare anello d’oro, cintura, o collana od altro tale ornamento1. Dopo questa disgraziata guerra il re dei Saraceni, Alamandaro, sentendo Cavado nella massima costernazione e tristezza, ma dispostissimo tuttavia a perseverare nelle armi, venne a lui con queste parole:

VII. «Mal si consiglia, o re, chi troppo fida nella fortuna, e crede suo retaggio la vittoria in campo; il pensarlo contrasta alla ragione, non meno che al corso delle umane vicende, e guai all’uomo sedotto a prestarvi fede, non avendovi dolor più forte di quello proviamo nel mirar tradite le nostre speranze. Quindi è che gli espertissimi duci non affrontano mai direttamente i pericoli della guerra, ed eziandio quando veggonsi da ogni lato superiori ai nemici non lasciano di studiare artifizj e stratagemmi a fine di gabbarli, perocchè delle sole armi usando non si può essere mai certi della vittoria. Cessa dunque, o re, d’attristarti cotanto pe’ rovesci tocchi dalle truppe di Perozo, nè più esporti di tal guisa a nuovi rischi. Mai fu la Mesopotamia guarnita di sì valide fortifica-

  1. Erano parimente segni di grandissima distinzione in Persia, e dal re accordati ai benivolenti suoi e benemeriti della repubblica, la veste alla foggia de’ Medi (nomata da alcuni autori δυροφοριχη, e ne’ posteriori tempi serica, i braccialetti d’oro e così pure l’acinace ed il freno del cavallo (V. Erodoto, lib. iii e vii; Senofonte, Cirop., lib viii, ed Anabasi, lib. i; Giuseppe Flavio, Antich. Giud., lib. x e xi; Plutarco, Vita di Artaserse; Dione Crisost., Oraz. 2).