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Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/116

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96 GUERRE PERSIANE

de’ Romani, ma lanciati con gagliardia maggiore spesso recavano, percuotendo, mortali ferite. Trascorsi nel combattere due terzi del giorno ed incerta ancora essendo la vittoria, i più coraggiosi de’ Persiani gittaronsi a furia sul corno destro nemico, dove i Saraceni agli ordini di Areta subito piegarono con vergogna grandissima e con qualche sospetto di tradimento; nè più vi volle per mettere in iscompiglio tutto l’esercito. Le reali truppe allora animate dal prospero evento assalgono la cavalleria di Belisario, la quale rifinita dalla stanchezza delle marce, dalle fatiche della battaglia e dall’astinenza dovè rinunziare ad ogni più lunga difesa; e mentre gli uni riparavano sulle vicine isole del fiume, gli altri con istraordinarissime azioni coronavansi di nuovi allori sul campo, Ascanio tra questi di sua mano uccise il fiore della gioventù persiana, nè cessò dalla strage che fatto a brani dal costoro ferro, imprimendo alta stima del valor suo nell’animo stesso de’ nemici. Morì egli con ottocento de’ più illustri guerrieri, e pur morirono gl’Isauri co’ duci loro, tutto che non cimentassersi nella pugna; gente era questa, Licaonii il più, tolta dalle faccende rusticane per ingrossare l’esercito, e la nessuna esperienza sua rendevala incapace di ogni bellico movimento; e pur dessa è quella che poco stante agognava sì forte la battaglia, ed accusava il condottiero di codardia.

X. Il duce romano sinchè vide Ascanio nel cimento proseguì pur egli a combattere, ma quello morto, e morta con lui una parte delle sue truppe e l’altra volta in fuga, desistette e andò a soccorrere un corpo di