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Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/146

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126 GUERRE PERSIANE

la reggia, accorse la plebe in folla presso di loro, e proclamato Ipazio imperatore voleva condurlo nella pubblica piazza ov’e’ prenderebbe il possesso del supremo comando; se non che la prudentissima e virtuosa consorte, nomata Maria, tutta s’adoperava a ritenerlo, ed implorando il soccorso degli amici suoi gridava non volersi di tal modo aprire la tomba al marito. Vinse non di manco il popolo, ed ei suo malgrado posto il piede sul foro di Costantino fu salutato imperatore, venendogli cinto il capo, in mancanza del reale diadema, con una collana d’oro.

VI. Fattisi di poi a consiglio tutti i senatori che erano rimasti nelle proprie case, tra le varie opinioni loro prevaleva quella d’avviarsi immediatamente a dar l’assalto al palazzo di Giustiniano, quando tal di essi nomato Origene parlò di tal guisa: «Avvegnachè il potere delle armi atto sia a liberarci dalle imminenti vicende, egli è però fuor di dubbio che le più grandi imprese, e la guerra ed il regno hanno sopra tutte il primato non vogliono eseguirsi a furia, ma essere condotte a buon fine colla saggezza dei consigli e colla perseveranza nei travagli, mezzi di cui non possiamo ad un istante valerci. Or dunque movendo noi ad attaccare il nemico, un sol attimo deciderà la sorte della repubblica, e giusta l’esito delle nostre armi o dovremo ringraziare la fortuna, o seco querelarci, dipendendo ognora da lei tutte le cose violentemente operate. Quando invece guidando noi con maggior placidezza le presenti bisogne non peneremo a trovare molte occasioni per francarci da