Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/151

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LIBRO PRIMO 131

precipitosamente in fuga, Boraide e Giusto1, nipoti di Cesare, strapparono Ipazio dal trono, non più avendovi chi prendessene le difese, e trascinaronlo con Pompeo al cospetto dell’imperatore, il quale ordinò che si rinchiudessero entrambi in istretto carcere. Qui Pompeo, non assuefatto a sciagure sì grandi, caduto in un lagrimar dirottissimo ed in lamenti ben meritevoli di compassione, fu da Ipazio acerbamente sgridato col rammentargli mal convenire il pianto a chi soggiace ad ingiusta morte, non essendo eglino rei neppure di un solo pensiero contro il sovrano; e doversi tutta la colpa dell’avvenuto riversare sul popolo, che destinandoli all’imperio di forza li aveva condotti nell’ippodromo. Comunque però si fosse la cosa, e’ vennero la dimane trucidati dalle truppe, che gittaronne quindi i cadaveri nel mare; i loro beni e quelli de’ senatori complici della congiura passarono al fisco; ma in progresso di tempo Giustiniano rimise i figliuoli d’Ipazio e di Pompeo, e gli altri tutti nella primiera dignità, e mostrossi lor generoso forse più di quello praticasse con molti de’ suoi amici: a questo modo ebbe fine la bizantina sommossa2.

  1. Primo e secondo figlio del fratello di Giustiniano; come poi si chiamasse costui e la sua moglie non v’ha storico che lo abbia mandato alla posterità. In luogo di Boraide alcuni leggono Berode.
  2. Anni dell’era volgare 534.