Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/187

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LIBRO SECONDO 165

ferte, levò in isperanza l’oratore che, stabilito co’ principali cittadini il danaro a condonagione del saccheggio, confermerebbe tutte le pregate cose, e quindi accomiatatolo diedegli a compagni della via, in pegno di maggiore onoranza, parecchi onorevoli Persiani, ai quali avea dapprima ingiunto di mostrarsi urbanissimi seco lui, e di rassicurarlo nelle concepite lusinghe, affinchè gli assediati in aspettativa del suo ritorno mirasserne gioioso il volto. Di più fatto avea loro comando che all’aprirsi della porticciuola da cui entrerebbe il prelato nella città, lasciassero cadere tra essa ed il limitare un qualche sasso o legno all’uopo d’impedirne il chiudimento, e distornassero poscia con artifiziosi discorsi le cure della guardia per serrarla di nuovo, e temporeggiassero di tal modo sino a che sorverrebbero le truppe; quindi schierato immantinente l’esercito imposegli tenere lor dietro avutone appena il segno. Arrivato il vescovo presso delle mura lo straniero corteo gli s’inchina di ottimo garbo, facendo sembianza di volerlo abbandonare, ed i cittadini vedendo gli onori dal nemico renduti al prelato ed il costui volto brillante di gioia, deposto ogni pensiero di guerra, spalancano la porta per riceverlo, e ve l’introducono unitamente ai ministri suoi con molto onore, applauso e lode. Entrata l’ambasceria, i custodi cercan richiudere la porta, ma va senza effetto ogni loro sforzo a motivo dell’impedimento postovi dai Persiani giusta l’ordine avuto; nè osarono aprirla una seconda volta per toglierlo, mirando già il nemico al di fuori1. E fu invero pe’ Sureni più che trista sor-

  1. Fu scritto invece negli Edifizj (lib. ii, cap. 9): «Sura