Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/197

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LIBRO SECONDO 175


III. Accadde poi là entro che, aumentatosi il numero de’ combattenti ed il disordine tra loro, andarono rotte le corde sostenitrici delle travi e tutto precipitò l’artifizio; al quale improvviso romore le guardie delle torri, credendo atterrate le mura pigliarono la fuga. Allora que’ cittadini che, per essersi dapprincipio mostrati di contrario parere, stavassene tuttavia inoperosi nel comune pericolo, accorsero pur essi alla difesa della patria, e Molaze e Teotisto montati in arcione galopparono seguiti dai lor cavalieri verso le porte, con la mira, e’ dicevano, di unirsi a Buzes pronto al di fuori con soccorrevole esercito, per quindi rispignere uniti insieme il nemico; ma incontrando lungo il cammino uomini, donne e fanciulli, diretti in mucchio alla volta stessa, fecerne grave scempio stiacciandoli co’ loro cavalli.

IV. I Persiani frattanto portate alle mura le scale salironle senza opposizione, giunti però a’ merli arrestaronsi qualche tempo dubbiosi volgendo gli occhi all’intorno, e non osavano discendere nella città, paventando, a mio credere, qualche nemica insidia in certo burrone tra questa ed il monte. È voce eziandio che lo stesso Cosroe, veduta la rotta de’ Romani, proibisse alle truppe di calare, temendo accrescere di soverchio la disperazione de’ fuggenti, sicchè rinnovando costoro la pugna con insuperabile ardore venissegli meno il bel punto di soggiogare quell’antica città, e più celebre di quante mai obbedivano ai Romani nell’oriente, non avendovene alcuna che potessele contrastare il primato nelle ricchezze, nella grandissima popolazione, ed