Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/229

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LIBRO SECONDO 207

noi di più esatte notizie, strinsero lega coll’impero. Ma in oggi, o re, deponiamo altra fiata nelle tue mani e noi e tutta la nostra repubblica, acciò ne disponga di pieno tuo volere, supplicandoti unicamente che di tal modo consideri il fatto nostro: se di nulla aggravati dai Romani, e perciò con manifesta ingratitudine verso di loro, noi ricorriamo alla Persia, rigetta pure i nostri prieghi, estimando che i Colchi non saprebbero mai più esserti fedeli, perocchè dalle giustificazioni d’una rotta amicizia potremmo ognora argomentare l’esito di quella che si propone ad altrui; se per lo contrario noi, amici di parole co’ Romani ed in effetto schiavi e servi loro, non siamo punto rei d’infedeltà quantunque oppressi dagli empj trattamenti de’ nostri tiranni, accogli ora per servo chi ti fu amico, e punisci, operando cose degne di te e della tua giustizia, il dispotismo crudele; mercecchè ad essere giusti dobbiamo non solo guardarci dal commettere iniquità, ma è forza ancora prendere all’uopo la difesa di coloro che gemono sotto la sferza degli oppressori; ascolta pertanto la esposizione dei mali a noi derivati dall’abbominevole giogo romano. Prima di tutto e’ non lasciarono al nostro capo che il nome di re, spogliandolo del supremo comando e riducendolo alla misera condizione d’un servo che trema allo sguardo autorevole del suo padrone; mandarono parimente tra noi un forte esercito, non per difendere il paese dai nemici, sendo ben lunge ognuno, eccetto i Romani, dal molestarlo, ma per impossessarsi, imprigionato quasi diremmo il po-