Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/329

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LIBRO PRIMO 305

vedovarla del marito, la matrona cui già da gran pezza non iva costui più all’animo, esacerbossi maggiormente per le udite malvagita, ed agognò vendicare il tradito consorte. Laonde appena dileguate le tenebre mandò frettolosamente a Cartagine1 pregando Gizerico di accorrere a gastigare l'empio tiranno e dell’assassinio di Valentiniano e de’ cattivi trattamenti cui soggiaceva ella stessa. Aggiugne di più che ove il perfido riuscisse ad usurpare il supremo potere tutto ne andrebbe in perdizione, e conchiude rammentandogli l’obbligo suo di sovvenirla mercè dell’amicizia e degli accordi che legavanlo all’ucciso, e la impossibilità di sperare aiuto

  1. «È Cartagine situata sopra una penisola della periferia di trecento sessanta stadii, cinta di muro, ed il suo collo, della lunghezza di sessanta stadj, stendesi dall’uno all’altro mare, dov’erano le stalle degli elefanti de’ Cartaginesi, luogo vastissimo. Nel mezzo della città fuvvi la rocca nomata Birsa (Dorso), ch’è una balza assai erta con abitazioni all’intorno, e nella cui sommità ergevasi il tempio di Esculapio, che la moglie d’Asdrubale nella presa della città arse unitamente a se stessa. Sotto la rocca sono i porti e Cotone, isoletta rotonda circondata da stretto canale (Euripo), e da ambe le sue parti veggonsi in giro gli arsenali. Didone edificò questa città, e vi condusse da Tiro gli abitatori..... Cartagine dopo essere stata lungamente deserta, rimontando la sua rovina quasi all'epoca di quella di Corinto, fu nell’egual tempo ristaurata dal Divo Cesare, il quale vi mandò coloni romani, chiunque ne avesse fantasia, e qualche soldato. Ed ora è così popolosa che non havvene altra maggiormente in Africa» (Strabone, lib. xvii).
Procopio , tom. I. 20