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Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/492

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466 GUERRE VANDALICHE

le spalle. Da quinci in poi e’ non crederonsi più in istato di usare le armi contra di lui, e tanto meno di riportarne vittoria, ponendo solo ogni speranza in quel poggio che per la malagevolezza sua avrebbe sollecitato i Romani, persuasi al fine della impossibilità di lungamente rimanervi, a tosto retrocedere. Molti di loro inoltre passarono a vivere co’ Mauritani e co’ popoli dimoranti a meriggio dell’Aurasio. Iabda però alla testa di due mila1 guerrieri non volle di là partirsi, ed avendovi su per lo monte un castello fabbricato da tal Zerbule vi ricoverò con tutta la truppa. Allora Salomone, anzi che perdere vanamente il tempo in un assedio, giudicò opportuno di ritirare le truppe nella pianura, doviziosissima di bionde messi, vicino alla città di Tamugada, e rimasovi finchè ebbene guastata tutta la campagna, riprese quindi la via dell’antedetto castello.

III. Intanto che i Romani occupavansi di queste cose Iabda, lasciato alla guardia del forte qualche numero di fidatissimi suoi Maurusii, ascese con le rimanente oste la vetta dell’Aurasio, per non trovarsi, avvenendo la espugnazione di quello, affatto privo di asilo, e munitovi un luogo, detto Tumar2, alpestro ed attorniato da precipizj vi soggiornava: di fatto poco stante la guenigione lasciatavi perduti tutti i suoi capi risolve, disperando reggere all’assedio, di tentare all’insaputa dei nemici con silenzio grandissimo la fuga. I Romani allora, dapprima anch’eglino deliberati di volgere al-

  1. Venti mila, in altri testi.
  2. D’incerta posizione, secondo l’Ortelio.