Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/56

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36 GUERRE PERSIANE

di espugnarne le mura, e sempre indarno; avrebbonla tuttavia forse avuta per fame se accorti si fossero della grandissima e generale carestia di che pativano i chiusi là entro, e se, non curanti le voci d’un qualche persiano soccorso e le lamentele de’ soldati stanchi pe’ disagi della stagione e per le fatiche dell’assedio, non avessero stabilito di abbandonarla frettolosamente. Quando invece il presidio avvegnachè privo d’ogni risorsa studiavasi a tutta possa di occultare le angustie sue, facendo anzi sembiante di vivere nell’opulenza, onde incontrare all’uopo d’una capitolazione miglior fortuna. Ed in effetto si convenne di poi tra le due parti, così almeno divulgò la fama, che le truppe del re cederebbero la città ai Romani contro il pagamento di mille libbre d’oro; ed il prezzo fu versato nelle mani del figlio di Glone, rimaso costui vittima d’un tradimento, come prendo a narrare.

II. Stando i Romani a campo vicin della città, un del contado, solito entrarvi furtivamente con pane, frutta e cacciagione, di che facea gran mercato al comandante Glone, andò a Patrizio colla promessa di darglielo prigioniero in una con dugento Persiani, se ne riportasse parola d’un guiderdone corrispondente all’impresa; ed il romano duce tosto rispose che impegnavagli, quanto è al premio, sua fede. Or quegli laceratesi le vesti corre alla città, e con gli occhi pieni di menzognere lagrime e divellendosi la chioma va a trovare Glone e gli dice: «Nel condurti, mio signore, dalla villa copia di cibi veggomi dai ladri (che menan lor giorni pe’ campi vagando), sopraffatto, spogliato