Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/87

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LIBRO PRIMO 67

conto che non in virtù delle esortazioni de’ capitani, ma per la brama di non essere tenuti a vile da chicchessia, vadano i Persiani ad incontrare con vie più di coraggio i pericoli. Al vedervi non di meno cogitabondi sul perchè gl’imperiali, soliti ognora essere i primi ad avventarsi con istrepito e spavento contro il nemico, nell’ultimo conflitto rimasi costantemente di piè fermo abbiano atteso in bell’ordine che voi li assaliste, credo opportuno di eccitarvi a deporre ogni falsa opinione del valor loro, e a non pensare che acquistassero in un attimo ed animo ed esperienza. Temettero eglino per lo contrario sì forte il cospetto nostro che non osarono ordinarsi alla battaglia senza il riparo d’un fosso al davanti, nè vollero partirsi da esso per venirci ad attaccare. E con tutto ciò millantansi d’un successo al di là d’ogni loro speranza, fondandolo sull’essere riusciti a sottrarsi dal cimento ed a riparare nella città; come che abbiavi gran maraviglia nello sfuggire una rotta col non avventurarsi alla sorte delle armi: costringeteli però ad impugnare il ferro, ed il timore e la poca esperienza gitteralli ben tosto, secondo il costume loro, nello scompiglio; tale affè mia è la condizion dei nemici. Ma voi, o Persiani, non obbliate giammai che avrete de’ vostri diportamenti arbitro il re, e che n mostrandovi colla vostra dappocaggine tralignati dai valorosi avi riporterete ignominia non gloria». Il mirrane qui tacendo condusse le truppe in campo. Belisario ed Ermogene fatti uscire parimente i Romani delle mura tennero loro la seguente allocuzione: «A-