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Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/146

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136 GUERRE GOTTICHE

l’eccidio de’ Vandali congiunto con la triste fine di Gelimero, presentasi alla mia imaginazione un quadro pur troppo assai lagrimevole, sembrandomi vedere in esso i Gotti colla prole trascinati in ischiavitù, le nostre mogli costrette a soggiacere alle più turpi libidini d’infestissime genti, me stesso ed il nipote per linea femminile di Teuderico menati ovunque piacerà a coloro contro cui guerreggiamo. Ma vorrei che pur voi temeste l’avverarsi di tali cose, e di continuo paventandole tenzonaste con chi vi fa contro; mentre allora preferirete anzi cader morti sul campo che sopravvivere alla strage de’ vostri compagni; e per vero il ridurre la propria esistenza al di sotto della condizione de’ nemici è il solo avvenimento in cui gli uomini magnanimi ripongono il colmo della sciagura. Alla fin fine la morte in ispecie sì pronta rende sempre beati coloro ver cui da prima la fortuna dichiarossi poco propizia. Se dunque con tali sentimenti vi esporrete ora a far prova del vostro coraggio, non v’ha dubbio che di leggieri uscirete vittoriosi di pochi avversarii ed il più grecanici o di simil genia, e farete sommariamente le vendette delle ingiurie colle quali noi fummo provocati. Nè a torto andiamo gloriosi di superarli nel valore, nel numero, ed in che che altro mai si voglia, quantunque ora e’ tronfii per le sciagure nostre e non appoggiati a verun presidio, eccetto lo stolido dispregio in cui ne hanno, contro di noi inviperiscano, pascendosi l’insolenza loro del felice successo testè senza merito al mondo ottenuto.» Vitige avvalorato di questo modo