Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/197

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LIBRO SECONDO 187

diò; costruita quindi in fretta una torre di legno più alta de’ merli con quattro ruote al disotto fecela condurre laddove il muro s’appresentava più agevole da espugnare; ed acciocchè i suoi non venissero incolti da sciagura simile a quella provata nel romano assedio non fece uso nel trasportarla di buoi aggiogati, ma uomini ascosivi nell’interno con le mani loro davanle moto. Aveavi di più entro una larghissima scala per cui a tutto bell’agio salire; laonde siavansi tutti pieni di fiducia che l’accostare la torre alle mura e l’impossessarsi de’ merli, arrivando a questi la sommità della macchina, senza una fatica al mondo, sarebbe la cosa stessa. Proceduti con tale artifizio, il comparir delle tenebre persuaseli di abbandonare lor membra al riposo, e tutti vi aderirono, dopo aver messo guardie alle torre, nella ferma persuasione che un ottimo successo coronerebbe la meditata impresa, imperciocchè nessun ostacolo, salvo una piccolissima fossa, eravi frapposto.

II. Il pensiero della futura strage col nuovo dì tenne agitatissimi i Romani in quella notte, ma Giovanni intrepido e superiore ad ogni pericolo escogitò simigliante cosa. Ordinato al presidio di starsene entro le mura, egli con gl’Isauri, forniti di zappe e di altri opportuni stromenti, all’impensata dell’universale tra le più dense tenebre uscito della città comanda a’ suoi di profondare silenziosi la fossa; questi obbediscono, e quanta terra scavano tanta accumulanne sul margine di lei prossimo al muro, formandovi quasimente una seconda parete. Così, tenendosi bene ascosi al nemico tutto immerso nel sonno, riducono in brev’ora lo scavamento di regolare altezza