Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/239

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LIBRO SECONDO 229

della morte, ed eccovi donde surga la discrepanza. Tutti gl’infingardi poichè furono meritamente il zimbello ed il vitupero de’ nemici a pari condizione affatto degli altri aggiungono lor fine; i coraggiosi al contrario vi apportano grandissimo corteo di virtù e di gloriose gesta. Oltre di che se il servaggio presso de’ barbari guarentisse insieme con noi la vita de’ cittadini, sarebbe in qualche guisa da commiserarsi quella ignominiosa nostra salvezza; ma se dovrem mirare tanti Romani trucidati dalle mani dei barbari, chi mi negherà essere tale spettacolo assai più acerbo di qualunque morte? ed in fe’ mia sembreremmo pur noi aiutatori de’ nemici in quella cotanta carnificina. Sinchè dunque siam liberi, e n’è pur dato di bellamente coprire la necessità col manto di virtuose geste, del che è forza convengano tutti i buoni, accogliamone di ottimo grado la opportuna occasione. Laonde è mio divisamento che ci precipitiamo armati sull’incauto nemico, attendendoci l’una delle due, o di essere, vo’ dire, protetti dalla fortuna, o di venir tratti, mercè d’una morte al di là d’ogni speranza beata, gloriosamente da queste sciagure.»

IV. Tale parlò Mundila, ma nessun de’ guerrieri volle esporsi al cimento, ed accolte le proposizioni offerte dai nemici, tutti s’arresero in un colla città, dai Gotti ritenendosi prigionieri e duce e truppa senza recar loro molestia veruna. Milano quindi fu agguagliata al suolo, e massacrato ogni suo abitatore di sesso maschile, non risparmiandosi età comunque, e per lo meno aggiugnevane