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Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/277

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LIBRO SECONDO 267

Romani grandissimi della persona e soverchiare di numero i suoi, sputavan tutte ne’ loro volti siccome gente sol atta a starsene colle mani alla cintola nella città, e rampognavanli, mostrando a dito i vincitori, della loro vigliaccheria.

III. Belisario tenne il re prigioniero in onesto e liberal modo, e comandò che i barbari abitatori della regione di qua dal fiume Po tornassero a visitare le proprie campagne, e volendo a ripigliarvi pur anche stanza. Nè sospettava male alcuno da quella parte, ben lungi essendo il pensiero in lui che i Gotti ordissero insidie laddove trovavasi di già a quartiere parte non piccola dell’esercito romano; e quelli subito e volentiermente v’andarono; i Romani di questa guisa non ebbero più che temere in quelle mura, addivenuti nel numero non inferiori al nemico ivi rimaso. Pigliò quindi i tesori del palazzo per farne la consegna all’imperatore, guardandosi bene egli stesso dallo spogliare uom de’ barbari, e adoperando accuratamente perchè l’intero esercito imitasse l’esempio suo, zelantissimo nel procacciare che nessun de’ vinti, giusta i patti e le convenzioni, soggiacesse al minor danno. I Gotti di presidio ne’ munitissimi luoghi, non appena divulgatasi la caduta di Ravenna e di Vitige nelle mani imperiali spedirono ambasciadori a Belisario per arrenderglisi ad una co’ loro fortilizj; e questi di ottimo grado obbligata la sua parola con essi marciò ad occupare Tarvisio e gli altri forti in quel de’ Veneti, essendo parimente entrato per lo innanzi, vogliam dire al tempo del conquisto di Ravenna, in Cesena, sola città dell’Emilia che tuttavia