Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/353

Da Wikisource.

LIBRO TERZO 343

Giovanni surto nella Calabria senza che i Gotti a dimora, come scrivea, in Brindisi ne concepissero il minore sospetto. Ora pigliati tra via due nemici esploratori diede pronta morte all’uno, ed al secondo che abbracciatene le ginocchia supplicavagli della vita, aggiungendo: «nè sarò a te ed al popolo romano disutile»: rispondea: e di qual modo, campandoti io dalla morte gioverai a me ed all’esercito? quegli prometteva il mezzo di sorprendere all’imprevista le genti sue. Il duce gliene concedette a condizione ch’ei di subito ne appalesasse i pascoli; e ad un sì del barbaro entrambi con numeroso corteo si diressero a quella volta, tosto gittato le mani sopra i pascolanti cavalli, e montati tutti in arcione, molti essendo e valentissimi avviaronsi di carriera contro ai gottici campi. Al repentino assalto i barbari inermi e ben lontani col pensiero da questa sorpresa caddero in sì grande spavento che dimentichi dell’antico valore lasciaronsi in copia grandissima trucidare, ed i pochi non incolti a morte ripararono presso del re. Giovanni quindi conciliò all’imperatore gli animi de’ Calabresi, promettendo loro con dolci e lusinghiere parole che molti beni e da lui e dall’esercito romano deriverebbero a quella regione. Dopo di che abbandonato prestamente Brindisi occupò Canusio, città posta nel centro della Puglia e distante all’occaso, verso Roma, il viaggio di cinque giornate. Da quivi camminando venticinque stadj giugnesi a Canne, dove in altri tempi i Romani soggiacquero a gravissima strage per opera di Annibale generale de’ Cartaginesi.