Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/511

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LIBRO QUARTO 501

propri militi; stabilito in fine quanto facea mestieri nella regione scrisse a Gubaze dicendogli: «Possa e prudenza sono due ottime governatrici della umana vita; queglino di fatti cui la prima rende superiori de’ convicini vivonsi a loro beneplacito, ed ovunque attalentali conducono i men forti. Chi poi mercè sua debolezza va soggetto ai maggiori di sè, riparando colla prudenza ai torti della fortuna, perviene a trovar grazia in essi, e torna così al viver suo gli agi che avea, colpa l’impotenza, perduti. Nè questo diportamento vuol riputarsi buono per gli uni disconveniente agli altri, ma del pari a tutti senza eccezione giova, accompagnando ovunque, a mo’ d’appendice, la mortale natura. Or dunque, amico Gubaze, se ti estimi forte da vincere i Persiani guerreggiandoli, tronca ogni indugio, nulla ti rattenga. Ove che sia nella ragione ci troverai pronti a farti petto e a difendere ostinatamente il conquistato suolo, offerendoti così libero campo di mettere a pruova il tuo valore; ma ben ti comprendi manchevole di mezzi per resistere alle nemiche truppe. Appigliati dunque, o uomo illustre, all’altro spediente, e ben ponderato quel conosci te stesso, adora in segno di vassallaggio Cosroe, ed abbilo re tuo e padrone. Chiedi obblio del passato per liberare la vita dagli stenti di cui ora sei vittima. Io ti prometto che di questo modo giugnerai a calmarlo ed a rimeritare sua grazia. In guarentigia poi che accorderatti e vita e regno ed ogni altro tuo possedimento, onde abbi a goderne mai sempre con certezza, ti darò in istatico la