Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/549

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LIBRO QUARTO 539

feriore al nemico non osò affrontarlo, ma seguendone da tergo le vestigie sfogava grandemente il suo sdegno colla uccisione degli arretrati, e fattane molta strage indirizzò a Bizanzio anche piccola mano di prigionieri. Impertanto i barbari non rifiutavano di guastare que’ luoghi con tale effusione di sangue che tutte le contrade poteansi lastricare di morti; dopo di che liberissimi procedevano alle proprie case traricchi di schiavi e del raccolto bottino. Nè dato era ai Romani di tender loro insidie al valicare del fiume, o di molestarli in altra guisa, venendo essi accolti dai Gepidi e condotti all’opposta riva in forza di pattuita mercede non minore per singulo d’un aureo statere. Giustiniano adunque dispiacentissimo della sua impotenza a salvare dalle continue loro devastazioni il suo imperio, e nel mettervi piede al trapassare dell’Istro e nell’abbandonarlo con repentina partita, era bramoso di strignere amicizia coi Gepidi.

II. In questo mezzo e Gepidi e Langobardi apprestavano gli eserciti per venire alle mani, ed i primi tutto al buio sin qui de’ giurati accordi intra Giustiniano ed i Langobardi e d’altronde paurosissimi delle romane truppe aspiravano sommamente ad averle amiche e confederate. Spedivano così un’ambasceria in Bizanzio pregando l’imperatore che si unisse in lega seco loro, nè questi tardò a consentirvi, dodici senatori, a richiesta de’ legati, fermandone con giuramento le convenzioni. Trascorso quindi breve tempo Giustiniano Augusto fece partire gli altri domandati per diritto sociale dai Langobardi coll’intendimento di valersene contro ai