Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/64

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56 GUERRE GOTTICHE

d’un giorno perdè la propria libertà, ricuperolla, e tornò al possesso della parte maggiore di sue ricchezze. Imperciocchè quanti erano forniti d’oro o di altre suppellettili preziose aveanle di buon’ora nascoste entro la terra, e così poterono all’insaputa de’ nemici riacquistare ad un tratto e case ed averi: di tal modo ebbe fine l’assedio prolungato oltre i giorni venti. Belisario serbò eziandio sani e salvi non meno di ottocento Gotti caduti in sue mani, ed ebbeli onninamente a governo come i proprj soldati.

IV. Pastore alla cui instigazione, come testè narravamo, la plebe erasi indotta ad impazzare, veduta la patria in mano del nemico fu colpito da apoplessia, ed in brev’ora si moriva del male, avvegnacchè per lo innanzi sanissimo e non molestato da alcuno. Il suo compagno poi di quella mena, Asclepiodoto, unitamente agli ottimati superstiti, fecesi da Belisario, dove Stefano pigliò a svillaneggiarlo di questo modo: «Osserva, o iniquissimo tra mortali, quante sciagure hai tu recate alla patria col tuo favoreggiare i Gotti a danno e tradimento della pubblica nostra salvezza. Ed in fe mia che se la vittoria si fosse dichiarata pe’ barbari, tu ne avresti ottenuto il guiderdone, e ti saresti fatto innanzi ad incolparci, quantunque seguaci di migliore consiglio, siccome rei di patteggiate insidie co’ Romani. Ora nondimeno, venuta Napoli sotto l’imperiale dominio e salvati noi tutti dalla magnanimità di questo duce, tu hai l’impudenza di presentarti a lui, quasi scevro da ogni macchia verso i cittadini e le cesaree truppe!» Con queste parole Stefano, forte lagrimando i pubblici