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a costeggiare dappertutto le forze politiche senza saperle afferrare. Gli rimaneva solo il tentativo di sollevare qualche villaggio, ma anche questo sarebbe impossibile senza l’aiuto dei vecchi nichilisti.

Nell’amarezza disperata di quel bilancio della propria vita arrivava freddamente al problema del suicidio.

Per essere forte aveva voluto essere solo. Non aveva genitori, amici, amanti; non era nemmeno sicuro di amare il popolo, questo individuo immenso, del quale il numero distrugge la personalità. Se altra volta gli era sembrato di sentirsi in cuore tutti i suoi dolori e la sua fede, ora gli pareva di averli perduti nell’immensità del vuoto.

La vita normale, che nessun individuo può frangere, era più forte di lui, riconducendolo attraverso tutti i sogni rivoluzionari dinanzi a quella donna abbandonata lontanamente sul margine della prima giovinezza. Senza avere ancora fatto nulla, si trovava come tutti gli uomini volgari preso tuttavia nel problema del primo amore. Che cos’era dunque la sua predestinazione, quell’orgoglio inaccettabile, col quale respingeva tutti inebriandosi segretamente della propria grandezza, quasi fosse un altro Napoleone intento a studiare incognito i campi delle proprie future battaglie? Come Cesare a trent’anni aveva pianto la prima volta dinanzi al ritratto di Alessandro, egli piangeva ora silenziosamente davanti al grande fantasma di sè stesso.