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Pagina:Oriani - Il nemico.djvu/124

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burche del popolo, che la differenza di costume diventava quasi differenza di razza. Loris, abbigliato egli pure all’ultima moda, lo sentiva dolorosamente ad ogni incontro di un popolano cercando di leggergli negli sguardi, che nemmeno gli badavano; poi vessato da tutta quella ricchezza deviò verso i quartieri poveri. Infilava a caso i vicoli cupi, dove la gente era più squallida: il fango vi si accumulava colla poltiglia della neve, le case erano tetre; dalle finestre pendevano cenci e dalle porte sboccavano fetori nauseanti. In quelle case vivevano coloro, che davvero componevano la società. Che cosa era in faccia ad essi la minoranza fastosa, ingombrante colle proprie carrozze la grande passeggiata? Tutto era pagato da quei poveri, immondi ed ignari, che vivevano con cavoli fermentati e pesce salato, intorno alla stufa o sopra la stufa. Eppure non ne sembravano tanto infelici!

Loris li osservava con pietà mescolata di sdegno. Dalle bettole prorompevano clamori e canzoni, i ragazzi sgattaiolavano sghignazzando fra le donne, sedotte dall’improvvisa dolcezza dell’aria, che passeggiavano e ciarlavano lentamente; alcune coppie amorose rasentavano i muri facendosi quasi più piccole per passare inosservate. Si vedevano faccie bestiali, malate, truci, stupide, pochissime improntate di dolore, quasi nessuna minacciosa d’ira. Il popolo non soffriva. La miseria era dunque troppo lungi dalla ricchezza per poterla odiare davvero?