Pagina:Ortiz - Letteratura romena, 1941.djvu/125

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Una casa boieresca era una vera fortezza, uno stato nello stato. Neppur gli agenti di polizia del Voda osavan varcar la soglia di un «Ban» o di un «Vornic», malgrado che questo privilegio non fosse sanzionato da alcuna legge determinata. In caso di necessità, il «boiero» poteva chiuder le porte e viver mesi interi colla sua famiglia, i servi e gli «uomini di casa» (dalle ottanta alle cento persone) senza avere punto bisogno di quelli di fuori. Grano, granturco e farina ne aveva in abbondanza nei magazzini («hambàre»); la dispensa («camàra») era piena zeppa di cibarie: prosciutti, salami, carne e pesce marinati, affumicati, salati, sott’olio, sott’aceto, marmellate di tutte le sorte ed ogni altra grazia di Dio: tra’ suoi schiavi zingari aveva fornai, sarti, calzolai, sellai, ecc.; in caso di bisogno poteva, co’ suoi uomini, difendersi contro le forze del Voda, quando queste non erano spalleggiate da qualche ordine venuto direttamente da Costantinopoli. La parte della casa che si trovava verso il grande scalone, con quattro grandi stanze a destra e quattro a sinistra della gran sala centrale addobbata con tappeti, zendadi e tende tessute e ricamate in casa, con divani e materassi ai quattro angoli forniti d’innumerevoli cuscini, ed altre due o tre stanze più piccole per il «grammatico», il caffettiere e il «ciubuccìu» (incaricato di tener pulito, accendere e riempire il «ciubùc», la nota pipa turca) e il donzello («feciòr»); formavan l’appartamento «boiero». Il piano superiore coll’infermeria, la dispensa e la scalinata per cui si accedeva al giardino apparteneva alla «cucóana» (signora) e alle «cuconitze» (signorine) ed alle loro cameriere («jupănése») e persone di servizio («fete din casă») più cinque o sei sarte cresciute da piccole in casa, e figlie di «scutélnici» (una specie di liberti) o di piccoli boieri («boiernàsci»). I figli di sesso maschile («coconasci») abitavano nel sottosuolo col loro maestro («dascal») greco, accanto al tinello e alle stanze riservate al cappellano, allo «stolnic» (incaricato della mensa), al «vataf» (specie di ciambellano) e della guardarobiera. In fondo al cortile, c’eran le stalle per una ventina o trentina di cavalli, le rimesse per dieci o quindici carrozze, carri, calessi, ecc. Perpendicolarmente all’ala del fabbricato in cui si trovavan le stanze dei cocchieri e dei garzoni addetti alle stalle e alla pulizia del cortile e facenti angolo con essa, incominciava un’altra fila di stanze, dove andavano ad abitare il «grammatico» Iordache, il «vataf» Dinu, il «polcovnic») (comandante delle guardie) Ionitza, lo «șatràr» (ispettore) Stefanache quando cadevano in disgrazia. Costoro, quando il «boiero» era assunto a qualche carica di corte («entrava nel pane» nel senso che era portato in alto da un colpo di fortuna e cioè entrava a far parte del governo dove aveva l’occasione di arricchirsi) si disperdevano ai quattro venti, mandati di qua e di là come cassieri, agenti delle imposte, contabili, sottoprefetti, entrando anch’essi «nel pane» del governo, per tornar poi tutti a mangiar quello del «boiero» e riprendendo le loro funzioni minori nella piccola corte di lui, non appena il loro padrone cadeva in disgrazia e perdeva la sua carica alla corte del Voda. Codesti erano i celebri «ciocoi boierești din tata în fiu» (piccoli cortigiani per diritto ereditario). Una stradicciuola che costeggiava il giardino portava al «quartiere degli zingari» formato da un cortile con delle stanze a terreno in cui abitavano da sette ad otto famiglie di «zingari di focolare» (non cioè nomadi, ma che possedevano un focolare): maniscalchi, sellai, sarti, lavandai, ecc. Per nutrire una tal popolazione la cucina era necessario fosse qualcosa di grandioso, di monumentale, e infatti poteva dirsi un vero capolavoro di