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QUI ARRIVO’ UN GIORNO...

di Ion Pillat

Nella casa del ricordo con persiane e terrazze,
i ragni han messo le grate ai cancelli.

Ma il camino non fama più, pigro, la sua pipa
da quando lottaron nel bosco gendarmi e briganti.

Camminando verso l’orizzonte, invecchiarono i pioppi.
Qui arrivò altra volta mia nonna Calliope

e impaziente il nonno scrutò dalla terrazza
se mai vedesse dondolarsi la berlina tra i campi di segala.

Non c’eran treni allora com’oggi e, dalla berlina,
saltò a terra leggera una giovinetta in larga crinolina.

Mirando con lei la luna splender sui campi come su Tonde,
le recitò mio nonno «Le lac» di Lamartine.

Lei ascoltava in silenzio guardando lontano cogli occhi suoi di pervinca
e tutto era romantico come nelle fiabe,

Ma, mentre era accanto, sonò una campana
(a festa o a morto?) dal campami del villaggio.

Da molto è morto il nonno, la nonna è vecchia...

Che cosa strana: il tempo! A un tratto sul muro
tu vedi persone vere nei pallidi ritratti.

Ti riconosci in essi, ma non colle tue sembianze,
che se il corpo tuo t’oblia, tu obliar non lo puoi...

Ma, se ieri giunse la nonna,... oggi sei tu che giungi
e dietro la sua berlina la tua carrozza sta.

La stessa strada ti portò attraverso i campi di segala,
come lei alla scala t’awii passando sotto il porticato.

Lieve sfiori la sabbia su cui posò il suo piede.
Colle cicogne in essa il tramonto si fermò.

Ed hai trovato, sorridendo, che troppo ingenuo ero
quando t’ho sussurati i versi del buon Francis Jammes.

E, quando a notte il piano fu lago steso sotto la luna,
e ti recitai la «Ballata alla luna» di Horia Furtuna,

m’ascoltasti pensosa con occhi d’ametista
e ti parvi romantico e forse simbolista.

E, mentr’eravamo accanto, sonò una campana
(a festa o a morto?) al campanti del villaggio.

(Trad. di Ramiro Ortiz).