Pagina:Ortiz - Letteratura romena, 1941.djvu/7

Da Wikisource.

— 7 —

ch’io ascolti il latrato dei cani.
Questo di’ loro
e che al capezzale mi metta
15.un flauto di faggio
(molto suona dolce),
un flauto d’osso
(molto suona melanconico),
un flauto di sambuco
20.(molto suona appassionato).
Il vento quando vi soffierà
entrerà in essi,
le pecore s’aduneranno,
su me piangeranno.
25. Ma tu del delitto
non dir niente a nessuno;
di’ loro soltanto
che mi sono sposato
con una bella regina,
30. padrona del mondo;
che alle mie nozze
è caduta una stella;
che il sole e la luna
mi ha tenuta la corona;
35. che gli abeti e i platani ’
mi sono stati testimoni;
preti, gli alti monti,
violinisti, gli uccelli
e fiaccole le stelle!...

(V. Alexandrì, Poezii populare ale Românilor.
București, «Minerva», 1908, p. 5. Trad. di
Ramiro Ortiz).


«Legenda Mânăstirei Argeșului» rappresenta un canto epico-lirico ispirato alla leggenda formatasi attorno a quel meraviglioso monumento dell’arte bizantina ch’è il monastero di Argeș costruito da Neagoe-Vodă Basarab, ma la cui fondazione il popolo attribuisce al leggendario Radu-Vodă Negru. In forma diversa codesta leggenda si trova un po’ dappertutto nel folk-lore balcanico dove la troviamo riferita alla fortezza di Scutari (in Albania), al ponte di Arta (in Macedonia) e ad altre costruzioni colossali o sontuose che hanno impressionata la fantasia popolare in Grecia, Serbia e Bulgaria. Malgrado ciò, la delicatezza con cui anche in questa ballata sono trattati gli affetti familiari e la soavità di tocco usata dall’ignoto artista popolare nel tratteggiar la figura della donna sacrificata; son caratteristiche dell’anima romena.