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gli speziali e i rivenduglioli di Bucarest venderono la loro merce avvolta nelle pagine di Omero, Erodoto, Dante, Molière, Lord Byron”.

La traduzione dell’Alfieri dovette dunque la sua salvezza al non essere compresa fra le pubblicazioni che avrebbero dovuto veder la luce in quell’anno.

b) Traduzioni.

Accennate brevemente le condizioni nelle quali sorse la prima idea di tradurre in rumeno le tragedie alfieriane, passiamo ad esaminarne le traduzioni, che in diverse epoche (dal 1819 al 1847) se ne fecero sì in greco che in rumeno e contribuirono a render noto in Rumania il nome di questo nostro poeta, che, se non avesse scritto il Misogallo e non avesse affettato tanto classico e aristocratico disdegno per il teatro francese, c’è da scommettere che sarebbe apprezzato come merita, o, ad ogni modo, assai più di quanto ora non sia, specie fuori d’Italia. Fortunatamente per lui, all’epoca in cui le sue tragedie furon rappresentate in Rumania l’influenza francese era, almeno nel campo letterario, contrabilanciata dall’italiana, sicchè non riscosser che lodi, e lodi entusiastiche anche, che raggiunsero talvolta la potenza dell’inno. Ora... ora non saprei se un autore italiano così mal giudicato in Francia potrebbe conquistarsi le simpatie del pubblico rumeno, come allora, grazie ad Heliade, Aristia, Negruzzi ed Asaki potè conquistarsele l’Alfieri!

α) Traduzioni greche: il „Filippo“ e „l’Oreste“.

Riscontrando dunque i cataloghi della Bibliotheca Academiei Române, mi sono imbattuto in tre traduzioni delle tragedie di V. Alfieri, la prima delle quali, in greco moderno, si deve a quanto pare a un Χριστόφορος κρατερός che non sappiamo bene chi fosse e si riconnette alle rappresentazioni del Filippo e dell’Oreste avvenute sulle scene della Fontana Rossa (Cișmeaua roșie) rispettivamente il 1819 e il 1820; le altre due in rumeno sono rispettivamente del 1836 e del 1847 ed appartengono: