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108 parte prima

come di spie, o come di avvezzamale i ragazzi portati via, e se son vecchie le sprezzano come esseri inutili. Ma le creature sotto ai 10 o 12 anni al più, le portano seco prigioniere, per allevarle come guerrieri o spose in benefizio della tribù.

Questo costume non ci ha da parere più barbaro di quello che al tempo dei Romani avevano gli Sciti, abitanti tra il Don e il Danubio, i quali accecavano i prigionieri per risparmiarsi la cura di guardarli in mezzo della loro vita nomade. E che potremo dire di esso, quando i Romani già divenuti cristiani gettavano i prigionieri nel circo agli strazii delle fiere e agli insulti del pubblicaccio? Sentite un complimento contenuto in un panegirico recitato da un Grande cristiano, a Costantino il Grande, il Vittorio Emanuele del Cristianesimo: «Tu col sangue dei Franchi rallegrasti la pompa dei nostri giuochi ci offristi il giocondo spettacolo d’innumerevoli prigionieri sbranati dalle belve; onde quei barbari spirando, erano dagli insulti dei vincitori offesi ancor più che dai denti delle fiere e dalle angoscie di morte.»

Fo questi ravvicinamenti per mettere in sodo che l’uomo si rassomiglia dappertutto e sempre.

Con questi mezzi spicciativi si risparmiano la vergogna e il pericolo della schiavitù, incompatibili del resto con la vita nomade che conducono, con le loro continue guerre, con la scarsezza anche dei viveri e finalmente col carattere indipendente proprio dell’Indiano, che preferirebbe ammazzare e farsi ammazzare, piuttosto che stare schiavo. Nondimeno considerate quale straordinaria influenza possa avere tal costume nella esistenza e nella distribuzione delle tribù, pensando che un succedersi di vittorie di una o più tribù collegate può presto produrre completa distruzione e disparizione di altre.

Chi ammazza un nemico, ne porta per trofeo, se ha tempo di levarla, la cotenna della testa, coi capelli, con gli orecchi e possibilmente con una falda della pelle di dietro del collo: questa cotenna l’adattano in forma di ciotola, con un giunco