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110 parte prima


«Chi sarà quello lì?»

E i più saccenti rispondevano:

«Sarà qualche presidente!»

E a me mi pareva al sentir queste chiacchiere d’essere in mezzo a una turba del nostro popolino.

È rito di guerra tra questi Indiani qua muoversi alle imprese con la luna nuova. Vi annettono, pare, una virtù superstiziosa; non costumano perciò marciar di notte per paura delle vipere e delle tigri.

A proposito di tal superstizione, una analoga la troviamo tra gli Spartani, e sappiamo di loro che nella guerra Meda (anno 491 avanti G. C.) essi non soccorsero in tempo gli Ateniesie i Plateesi, che, duce Milziade, combatterono e vinsero la famosa battaglia di Maratona contro Dario re dei Persiani; causa del ritardo fu l’aspettare il plenilunio, che li fece arrivare il giorno dopo la battaglia.

Già sappiamo che le armi sono l’arco colla freccia, la lancia e la clava, tutte di legno: non usano metalli per non averne, e per non saperli, nè poterli lavorare. Se hanno qualche chiodo, o qualche coltello, o qualche latta di scatole, ne fanno gran conto. Usano anche las boleadoras, specie di fionda.

La guerra la portano lontano centinaia di leghe, fatte tutte a piedi, e presto relativamente. Perchè gl’Indiani sono camminatori stupendi. Nudi, e quindi leggieri come sono, e assuefatti, vanno lesti senza parere: sono scalzi, quindi hanno anche meno bisogno di alzare i piedi.

Non mancano i capi di arringare i loro guerrieri prima della pugna, e già presso a lanciarsi grida loro il capitano: «Compagni già ci siamo: battetevi con coraggio: non scappate anche se il nemico vi pesta i piedi!» frase che mi pare tanto energica e tanto vera, trattandosi di combattimento a corpo a corpo.

Il cadavere del nemico lo straziano facilmente; ed oltre a re-