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120 parte prima

tento: sebbene la grande nazione civilizzatrice degli Inca, propagatori della religione del Sole e della Luna, di cui si dicevano figli, non abbisognasse, per risaltare, di tali contrasti, tuttavia restava impressa nelle opere stupende della mano e dell’ingegno. Ma guai ai vinti! E l’ingiustizia degli Inca verso i popoli conquistati, fu loro fatta scontare ad usura dai nuovi conquistatori, che in nome del vero Dio, distrussero palagi, templi, opere pubbliche e istituzioni, seppellendole sotto lo spregio e l’anatema. Comunque sia, la vita errante delle tribù selvaggie del Ciacco sembra che debba escludere l’idolatria.

E come in fatti potrebbero le tribù erranti portarsi dietro gli orti che contenessero le cipolle degli Egizii? In ogni modo dovrebbero escludere le cose incomode per volume o per peso o per pericoli; come potrebbero tenere in venerazione Dei portati a cavalluccio in isconcie posizioni, o agguinzagliati e frustati perchè docili non strazino o non abbandonino l’orda? O come conservare il prestigio e il terrore del mistero negli sgomberi? E come potrebbe pensare ciascuno al proprio pane quotidiano durante la marcia, e allo scredito degli Dei e dei sacerdoti fatti prigionieri e distrutti a mezza strada dal nemico imboscato? Dovrebbe dunque l’idolatria applicarsi a oggetti piccoli e di poca cura; ma questi sono gli ultimi a colpire l’immaginazione e non si possono concepire che come frangia di una tela più grande, che come sfogo di capricci non sazii della volgarità dell’adorazione, come i santini intercessori ad uso e consumo del lusso delle case gentilizie.

Il fatto poi notorio della facilità con cui abbandonano gli Indiani la loro tribù, loro cacicche e i loro stregoni, e il nessunissimo prestigio di questi fuori della battaglia o del pericolo, confermano l’argomentazione precedente.