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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/130

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Un picciol Sol, ch’ ov’ è la donna, splende,
     Vede il gran mal, che forza è, che ne segua,
     E s’ei con tanta forza il giorno accende,
     Quanto l’amata figlia si dilegua;
     Rapporta al solar corpo, e fa, che intende,
     Che lei, che tutti con sua falce adegua,
     De’ Persi adeguerà l’alta Reina
     À morti, s’à l’occaso ei non s’ inchina.

Quando l’affitto innamorato ascolta,
     Che per soverchio ardore ella si sface,
     E che tosto le fia da morte tolta,
     Se scalda il dì con si cocente face:
     Con una nube lagrimosa, e folta
     S’asconde il volto, e ’l dì men caldo face.
     E ’l grosso lagrimar dimostra quanto
     Sent’ei dolor, ch’ella patisca tanto.

Quei, che sapean, che l’humido vapore,
     Che manda freddo al ciel la terra calda,
     Formar tal nube suol, che ’l freddo humore
     Serva, mentre star puote unita, e salda,
     Credean, c’hor, che riverbera l’ardore
     Tanto, che sopra anchor le nubi scalda,
     Per resistere al foco unito fosse
     Quel giel, che fa le gocce cosi grosse.

Ma s’ingannan d’assai, che nasce altronde
     La nube, che gli oscura il chiaro volto.
     Il suo mesto pensier la luce asconde,
     Da questa nube il suo splendor gliè tolto.
     Le grosse, tempestose, e subit’onde,
     L’humor, che vien più saldo, e più raccolto,
     Son le lagrime sue, che tai le spande
     Per mostrar quanto il suo dolore è grande.

Lo spesso lagrimar, che l’occhio atterra,
     Dà ristoro à l’asciutto, anzi arso seno
     De la distrutta, e polverosa terra,
     Et à tutti i mortai, che venian meno.
     Quando l’amante stà per gir sotterra,
     Si scopre più temprato, e più sereno,
     Che vede l’amor suo, che si diporta,
     E ’l vagheggiar di lui talhor sopporta.

Come se da Pirati alcuno è preso,
     E contra il suo voler la patria lassa,
     In nave l’occhio tien d’amore acceso
     Al lito, e ’l legno il porta, e innanzi passa.
     E mentre ei vi tien l’occhio caldo, e inteso,
     La nave s’alza, e la terra s’abbassa,
     E poi che ’l mare anchor tutta l’asconde,
     Riguarda in quella parte il cielo, e l’onde.

Così dal desio preso, che conduce
     L’ innamorato Sole ad occultarsi,
     Si che quando di sopra egli non luce,
     Possa il suo amor co’l sonno ricrearsi.
     Tien sempre volta à lei l’accesa luce,
     E contra il suo voler lascia abbassarsi,
     E poi che l’onda anchor gli ha posto il velo,
     Riguarda in quella parte il mare, e ’l cielo.

Volte che l’ ha le sue splendide terga,
     Al suo nobil palazzo, che già vede,
     Sferza i destrier con più feroce verga,
     Giunge, e tirando il fren, lor ferma il piede.
     Scende del carro, l’Hora, che l’alberga,
     Si maraviglia, che sì mesto riede:
     Ma non s’arrischia punto dimandarlo,
     E non sà trovar via da consolarlo.

Ne nettare, ne ambrosia il può cibare,
     Ne ciò che dà la sua splendida mensa.
     E se pur mangia, poco il può gustare,
     Ma sol discorre con la mente, e pensa.
     Tal, che chi il serve, può considerare,
     Ch’egli nel cor sente una pena immensa,
     E più che pria di quel, ch’è suo costume,
     Andò à trovar le sue splendide piume.

E tanto il punge amor, l’ange, e ’l flagella,
     Che riposar non può, ne men dormire,
     E per veder la donna amata, e bella
     Par, che non vegga mai l’hora d’uscire.
     Di subito levossi, et ogni stella
     Innanzi tempo assai fece sparire.
     Stupisce ogn’un, che ’l Sol si tosto rotte
     Habbia l’oscure tenebre à la notte.