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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/15

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Cingono cinque cerchi il ciel superno,
     Uno nel mezzo, e due per ogni lato.
     Cosi voll’ei, che questo mondo interno
     Fosse da cinque cerchi circondato.
     Senton gli estremi insopportabil verno,
     Quel del mezzo è dal Sol troppo infocato,
     Due fra gli estremi, e ’l mezzo stanno in loco;
     Che son temprati e dal freddo, e dal foco.

Soprastà l’aere à quei cerchi terreni
     D’ogni peso terren libero, e scarco,
     Ma tal’hor pien di tuoni, e di baleni,
     Tal’hor di nubi, e nebbie, e pioggie carco.
     Pose ivi i venti torbidi, e i sereni,
     Si pronti à farsi l’uno à l’altro incarco,
     Che à pena ostar si puote à la lor guerra,
     Che non distrugga il mar, l’aere, e la terra.

Euro verso l’Aurora il regno tolse,
     Che al raggio matutin si sottopone.
     Favonio ne l’Occaso il seggio volse,
     Opposto al ricco albergo di Titone.
     Ver la fredda, e crudel Scithia si volse
     L’horribil Borea, nel settentrione.
     Tenne l’Austro la terra à lui contraria,
     Che di nubi, e di pioggie ingombra l’aria.

Tra lor divisi à pena havea gli honori
     Con si mirabil magistero, et arte,
     Che si mostrar le vaghe stelle fuori
     Nel bel manto del ciel distinte, e sparte.
     Poi, dando à tutti i loro habitatori,
     Locò Venere in ciel, Saturno, e Marte.
     A le fiere il terren donar li piacque,
     A i vaghi augelli l’aere, à i pesci l’acque.

Fra gli animali il più santo, e ’l piu eletto
     Mancava anchor, c’havesse arte, e pensiero,
     Ilqual col piu purgato alto intelletto
     In tutte l’altre cose havesse impero.
     Generò l’huom fra tutti il piu perfetto
     Quel, che formò l’uno, e l’altro hemispero,
     O pur la nova terra di quel seme,
     Che ’l ciel gl’infuse mentre furo insieme.

Tutti l’huom superò gli altri mortali
     Per l’elevato suo valore interno:
     Nè prono il fe come gli altri animali,
     Che guardan sempre mai verso l’inferno:
     Perche mirasse le cose immortali,
     L’alzò co’l grave aspetto al ciel superno,
     E per farlo piu amabile, e piu pio,
     L’ornò de l’alma imagine di Dio.

O che cosi Prometeo il componesse
     Di terra schietta, e d’acqua viva, e pura.
     Poi col foco del ciel l’alma li desse,
     Ó pur che fosse la miglior natura;
     Con questa venerabil forma resse
     L’huom su la terra ogn’altra creatura.
     E, dato fine à si nobil lavoro
     S’ incominciò la bella età de l’oro.

Questo un secolo fu purgato, e netto,
     D’ogni malvagio, e perfido pensiero,
     Un proceder leal, libero, e schietto,
     Servando ogn’un la fe, dicendo il vero.
     Non v’era chi temesse il fiero aspetto
     Del giudice implacabile, e severo;
     Ma giusti essendo allhor, semplici, e puri,
     Vivean senz’altro giudice securi.

Sceso dal monte anchor non era il pino
     Per trovar nove genti à solcar l’onde;
     Ne sapeano i mortali altro confino,
     Che i proprij liti lor, le proprie sponde;
     Ne curavan cercare altro camino
     Per riportarvi ricche merci altronde.
     Non si trovava allhor città, che fosse
     D’argini cinta, e di profonde fosse.

Non era stato anchora il ferro duro
     Tirato al foco in forma, ch’offendesse,
     Nè bisognava à l’huom metallo, ò muro
     Che dall’altrui perfidie il difendesse.
     Tromba non era anchor, corno, ò tamburo,
     Che al fiero Marte gli animi accendesse;
     Ma sotto un faggio l’huomo, ò sotto un cerro
     E da l’huomo securo era, e dal ferro.