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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/187

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Stà duro il ferro à l’empia, e ingiusta mente,
     E non vuol obedir, se non lo sforza,
     Alza egli il braccio infame, et impudente
     Perche ’l misero acciar fera per forza:
     Ma l’alma alunna sua santa, e clemente
     Al Re crudel cangiò l’humana scorza,
     E ’n quel, che ’l Re lasciò del Re l’aspetto,
     Lasciò il pugno il pugnal cader su’l letto.

Cadde il pugnale, e ’l suo ferir fu vano,
     Ch’oprò la Dea, ch’à lui soccorso diede,
     Che tutti i diti à l’homicida mano
     Fur tolti in un momento, e si fer piede.
     Il volto, che fu già fero, et humano,
     La figura di pria più non possiede.
     Fugge l’human da lui, rimane il fero,
     E si fa l’animal detto Cervero.

La vaga altera, et ben fregiata vesta
     Da tanti soli illuminata, et arsa,
     Tutta dal capo al piè s’ incarna, e inesta
     In quella forma novamente apparsa,
     E secondo di raggi era contesta,
     Ne riman tutta anchor fregiata, e sparsa,
     E anchor lo Scita, e Barbaro costume
     Mostra l’andar superbo, e ’l fiero lume.

Come la fertil Dea l’hà fatto belva
     Fà, che l’alunno suo quindi diloggia,
     E ratto và ne la vicina selva,
     E dona à i draghi il volo, e in aria poggia.
     Lascia Linco i suoi commodi, e s’inselva,
     Vive al Sole, à la neve, et à la pioggia.
     À gli animai, che puote, anchor fa danno,
     E vive di rapina, e da tiranno.

Quì fe Callioppe punto al dotto canto,
     E con giudicio ben pensato, e saggio
     Dier le Ninfe à le Dee del monte santo
     E d’arte, e d’armonia lode, e vantaggio.
     Di questo si sdegnar le vinte tanto,
     Ch’à l’uno, e à l’altro choro onta, et oltraggio
     Disser, via più che mai crude, et acerbe,
     De la lor vanagloria anchor superbe.

E sì moltiplicar nel loro orgoglio,
     Che dopo haverle sopportate assai,
     lo fui sforzata à far quel, che non soglio,
     E dir, se non restavan mute homai
     In si misero stato, in tal cordoglio
     lo le farei cader, che più già mai
     Scior non potriano à la lor lingua il nodo,
     Per farsi honor con si orgoglioso modo.

Esse con folle, et impudente volto
     Ridon del grido mio, ch’altier minaccia,
     Poi con pensier più scelerato, e stolto
     Per volerne ferire alzan le braccia.
     Cade il braccio à l’ingiù libero, e sciolto,
     Ma non però, ch’à noi danno alcun faccia.
     Vede una, mentre anchora alza le pugna,
     Uscir le penne fra la carne, e l’ugna.

Ritrova come meglio vi rimira,
     Che per tutta la man la piuma cresce,
     E quanto il dito in dentro si ritira,
     Tanto la penna in fuor s’allunga, et esce,
     E per tutto, ove gli occhi intende, e gira
     L’aereo acquista, e ’l terreo ogni hor discresce,
     E quel, che più le par c’habbia del mostro,
     È, che vede le labbra esser già rostro.

Color ceruleo à tutte il corpo impiuma,
     Color dipinto, e vario il braccio impenna:
     La coscia, e il petto hà la più debil piuma,
     Il braccio, e l’ala hà la più forte penna.
     Mentre ogn’una s’affligge, e si consuma,
     E ferir con la mano il seno accenna,
     Il petto con la man più non offende,
     Ma per le scosse braccia in aria pende.

La penna inespugnabil lor nemica
     Sotto un corpo l’asconde aereo, e poco,
     Tanto, ch’entra ciascuna in una Pica,
     Orgoglio anchor d’ogni silvestre loco:
     Favella hor più, che mai, se ben s’intrica,
     E gloria ha del suo dir garrulo, e roco;
     Et anchor vana, insipida, e loquace,
     D’imitar l’huom si studia, e si compiace.