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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/21

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E non bastando il mal, che à basso infonde
     Il ciel, continuo, ch’ogni cosa atterra,
     Nettuno con le sue mortifer’onde
     Contra il terren prepara un’altra guerra.
     Perche più facilmente lo sprofonde,
     Gli dei chiamò de l’acque de la terra,
     E lor disse in parlar rotto, et altero,
     Il giusto de gli Dei sdegno, e pensiero.

So ben, che non bisogna ch’io v’essorti
(Disse) ad empir la volontà di Dio,
     Che vuol, che tutti gli huomini sian morti
     Sotto il potente, et ampio imperio mio.
     Hor vi mostrate impetuosi, e forti
     A ruina del mondo infame, e rio;
     Hor vedrò, con che cor ciascun si move
     Per ubidire il suo signore, e Giove.

Com’egli ha detto, si torna ogni fiume,
     E rompe à l’acque ogni riparo, e bocca.
     Percote col tridente il marin Nume
     L’afflitta terra, et à pena la tocca,
     Che trema tanto fuor del suo costume,
     Ch’ in sì gran moto il mar crudel l’imbocca,
     Trema, e par ben, che in precipitio cada,
     E d’inghiottirla al mar s’apre la strada.

Corrono al mar con furia i fiumi alteri
     Di tanta altezza lor gonfiati, et empi,
     E traggon seco imperiosi, e feri,
     Arbori, et animali, e case, e tempi.
     Ruinan’ i palazzi interi interi,
     Quel che mai non poter tanti anni, e tempi,
     E s’alcun restò saldo come prima
     Gli coprì l’acqua l’elevata cima.

Questo e quel fiume tanto, e tanto ingrossa,
     Che al fin congiungon le parti supreme,
     E fanno di molt’acque un’acqua grossa
     Per gire in una massa unite insieme.
     Van con tanta arroganza e con tal possa,
     Che ’l mar sdegnato le ribatte, e preme.
     Esse con tal furor urtan, che pare
     C’habbian fatta una lega contra il mare.

Nel mare in quell’incontro entrano i fiumi
     Ne’ fiumi il mare, e rotta horrenda fassi,
     Prevale al fine il mare, onde i cacumi
     De gli alti monti ogni hor si fan più bassi.
     Escon le fere de gli hispidi dumi,
     E gli huomini di casa afflitti e lassi,
     E ’n cima al monte patrio se ne vanno,
     E ’ntorno intorno assediati stanno.

Stansi piangendo il lor crudel destino
     E l’acqua tuttavia cresce et abonda.
     Han grande invidia à l’Alpi, e à l’Apennino,
     Che par che poco anchor teman de l’onda.
     Superbo in tanto il gran furor marino
     Gli huomini, gli animali, e ’l monte affonda.
     Nuota il lupo fra capre, e fra montoni,
     E gli huomini fra tigri, e fra leoni.

Non vale à l’huomo il suo sublime ingegno,
     Nulla giova al leone esser feroce,
     Non à Signori haver’ imperio, e regno,
     Poco rileva al cervo esser veloce,
     Che ’l furore implacabile, e lo sdegno
     Del mare à tutti parimente noce.
     Van fra gli arbori i pesci ne le selve,
     Già nidi, e tane d’augelli, e di belve.
     Molti fuggiti in qualche monte alpestre,

In torre, ò rocca van correndo à porsi,
     Cercando al mar con le lor proprie destre
     Con infiniti mezzi contraporsi.
     Rompe l’onda sdegnata usci, e fenestre,
     Ch’al fermo suo voler cercano opporsi;
     E batter quella rocca mai non cessa
     In fin che non l’ha presa, e sottomessa.
     L’afflitto montanar col figlio in braccio

Di casa fugge, e maggior monte sale:
     L’acqua l’incalza, e già v’è dentro un braccio.
     Sopra un’arbore monta, e si prevale:
     L’acqua ancho il giunge. ei si sostien col braccio
     Al più supremo ramo, e non gli vale,
     Che soverchiano al fin le tumide onde,
     Quel monte altier, quell’elevata fronde.