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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/24

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Sparti de l’acqua il capo, e ’l vestimento,
     Al tempio van de la divina Theme,
     Dove il loto ascondea di fuori e drento
     E le pareti, e le parti supreme.
     Stassi ne’ sacri altari il foco spento,
     Giunti ivi s’inchinaro à terra insieme,
     E poi c’hebber baciato il freddo sasso,
     Incominciar con suono afflitto, e lasso.

Se mai posson del ciel mitigar l’ira
     I giusti preghi de’ mortali in parte,
     Il modo in noi Themi fatale inspira
     Da riparar l’humana specie, e l’arte.
     A le cose del mondo attendi, e mira,
     Che son tutte sommerse in ogni parte.
     La Dea si mosse à la giusta proposta,
     Dando à l’intento lor questa risposta.

Del tempio uscite, e discinte c’havrete
     Le vesti intorno, le tempie velate;
     De la gran Madre poi l’ossa prendete,
     E quelle dietro à le spalle gittate.
     Stero un gran pezzo stupefatte, e chete
     Quell’anime trafitte, e sconsolate:
     Parla al fin Pirra, e nega che s’adempia
     La risposta fatal, crudele, et empia.

Perdonami, dicea, sublime, et alma,
     Immortal Dea, se ben non mi son mossa
     Ad ubidir, che temo offender l’alma
     De la gran madre mia gittando l’ossa.
     Pianger non cessa, e batter palma a palma,
     Ch’altro non sa che più giovar le possa.
     Pur ripensando al dir de gli alti Dei,
     Cosi Deucalion parlò con lei.

Pirra l’opinion tua di molt’ erra,
     Se, che l’Oracol ne comandi, credi,
     Che con le putride ossa homai sotterra
     Crear dobbiamo al mondo i novi heredi.
     Io so che la gran madre è la gran terra;
     Son l’ossa sue le pietre, che tu vedi.
     Ne pensar posso, che l’Oracol falle,
     Se quest’ossa gittiam dietro à le spalle.

Ben che la donna confortasse alquanto
     Quel, che ’l marito suo detto l’havea,
     E se ben fu quel senso fido, e santo,
     Non però fermamente si credea:
     Pur s’accordaro di provarlo in tanto
     Ch’altro à la mente lor non occorrea.
     E se ben parea lor cosa alta, e nova:
     Che nocer potea lor farne la prova?

Escon del tempio, e si bendan la fronte,
     Indi ciascun di lor scinto, e disciolto,
     Gli spessi sassi, che produce il monte,
     Getta à la parte, ove non guarda il volto.
     Io dirò cose manifeste, e conte,
     Nè forse mi sarian credute molto,
     Dicendo quel, ch’ogni credenza eccede,
     Se non ne fesse il tempo antico fede.

I sassi sparti per piani, e per colli
     Secondo la fatal prefissa norma,
     Deposta la durezza, e fatti molli,
     Cominciaro à sortire un’altra forma.
     Già si scorgono e capi, e braccia, e colli,
     E d’huomini imperfetti una gran torma,
     Simili à i corpi ne i marmi scolpiti,
     I quai siano abbozzati, e non finiti.

L’humida herbosa lor parte terrena
     Cangiossi in carne, in sangue, in barbe, e ’n chiome.
     E quella, che ne’ sassi è detta vena,
     Tenne in quest’altra forma il proprio nome.
     Le parti di più nervo, e di più lena,
     Diventar nervi, et ossa, e non so come.
     Prese ogni sasso quel divino aspetto,
     C’ha il senso esteriore, e l’intelletto.

E come da gli Dei lor fu concesso,
     I sassi, che da l’huom furo gittati,
     Tutti sortir faccia virile, e sesso.
     Fur tutti gli altri in donne trasformati.
     Ben ne facciamo esperienza adesso,
     Da che duri principij siamo nati.
     Perciò siam forti à le fatiche, e pronti,
     Che siam nati di sassi in aspri monti.