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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/343

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Fuggan pur via da me gl’ infami ardori,
     E s’armi il cor di voglie honeste, e sante,
     E dando essilio à dishonesti amori,
     S’ami come fratel, non come amante.
     Ben potrei haver pietà de suoi dolori,
     S’havesse egli il mio amor bramato avante.
     E bene il core haveria troppo empio, e fello
     Chi lasciasse perire il suo fratello.

Hor se non saria honesto, ch’ io soffrissi
     Di veder consumare il mio germano;
     Perche, s’io l’amor mio gli discoprissi,
     Non dovrebbe ei ver me mostrarsi humano?
     Meglio saria per me, se farlo ardissi,
     Ch’io medesma il mio amor gli fessi piano.
     Ma potrai tu parlar? ben poco accorta
     Sei, se palesi un mal, che tanto importa.

Ma vò parlargli, e seguane che vuole,
     E dirgli, che ’l suo amor sol bramo, e pregio.
     Ma potrà mai la nipote del Sole
     Macchiar la luce sua di si gran fregio ?
     Chi ti darà la voce, e le parole
     Da indurre à tanta infamia il sangue regio?
     Non vedi tu, ch’ei si pregiato, e raro
     Havrà rispetto al suo sangue si chiaro?

Non però di pieta sarà si ignudo,
     C’habbia à lasciar morir la sua sorella,
     Che sa ben, che non vale elmo, ne scudo
     Contra l’empie d’amore arme, e quadrella.
     Se non potrà mostrare il colpo crudo
     La debil voce, e timida favella;
     Pregherò tutta humil la penna, e ’l foglio,
     Che scoprano in mio nome il mio cordoglio.

Quest’ultimo parer, che la consiglia,
     Vince la dubbia innamorata mente.
     Lascia le piume à un tratto, e ’l manto piglia,
     E se l’ammanta intorno solamente.
     E senza ornare il bel crine, e le ciglia,
     La seta, il panno, l’or, la guancia, e ’l dente,
     Spinta dal grande ardor, che la consuma,
     Prende una man l’acciar, l’altra la piuma.

Dove ha da scriver commoda s’asside,
     E la manca appoggiata alza la penna,
     La destra fa, che ’l ferro la divide
     Nel mezzo de la gola, ù l’occhio accenna.
     In forma d’obilisco la recide,
     E poi che l’ ha ben rasa la cotenna,
     Sù l’unghia manca grossa il dital prende,
     Dove co’l ferro poi la spunta, e fende.

Nel vaso, ov’è l’ inchiostro, indi la tinge,
     E havendo sopra il foglio i lumi intenti,
     Ambi i gombiti appoggia, e ’l foglio pinge,
     E in varij modi accoppia gli elementi.
     Le sillabe, che unite insieme stringe,
     Dimostran le parole, e i loro accenti,
     E come il suo concetto ha in un congiunto,
     Non manca del suo segno, e del suo punto.

È ver, che ’l cassa poi, che non le piace,
     E raccoglie à discorrer l’ intelletto.
     Come ha pensato alquanto, e si compiace,
     Spiega nel foglio il suo novo concetto.
     Non molto stà, che ’l novo anchor le spiace,
     E qualche altro pensier fa dubbio il petto.
     D’un vergognoso ardir ha il volto acceso,
     E ’l pugno scrive, trema, e stà sospeso.

Ella stessa non sà quel, che si vuole,
     Ne forma può trovar, che non la mute,
     La carta ne le sue prime parole
     Cosi parlò con voci aperte, e mute.
     Se ben scrivendo tua sorella suole
     Mandarti da principio la salute.
     Poi il nome di sorella non vi brama,
     E pone in quella vece una, che t’ama.

Poi che più cose ell’have aggiunte, e tolte,
     Secondo il caldo amor le persuade,
     La legge tutta quattro, e cinque volte,
     E quattro, e cinque volte aggiunge, e rade.
     Poi la riscrive in note aperte, e sciolte.
     E quel, ch’aggiunse, in tal sententia cade;
     Non ha per hor salute, onde ti scriva,
     Ch’ogni salute sua da te diriva.