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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/370

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Dentro vi stà talmente ascosa l’arte,
     Che l’ha per viva ogni occhio, che la mira.
     Et ei le và cercando à parte à parte,
     E men che trova l’arte, più l’ammira.
     Conosce tanto bella ogni sua parte,
     Che già n’arde d’amore, e ne sospira,
     E mentre a l’alme vive il suo cor nega,
     Morta, e finta bellezza il suo cor lega.

Mentre viva gli par, tende la mano,
     E vuol co’l dito esperienza farne,
     E come habbia à sentir, tocca pian piano,
     Ché non le vuol far livida la carne.
     E se ben non gli par poi corpo humano,
     Non però vuol certo giudicio darne.
     La bacia, le favella, e poi si duole,
     Che non può trar da lei baci, e parole.

Le fa mille carezze, e le da lode,
     Stà però sol, ne vuole esser veduto;
     E di palparla, e di adornarla gode,
     Sol v’entra, s’ei gli accenna, un fido muto.
     Un muto, che non parla, e, che non ode,
     Ma ben servente accorto, et aveduto.
     E quando il Re gli accenna, che stia cheto,
     Non palesa co’l cenno il suo secreto.

Le porta di quei don vaghi, e gentili,
     Che sogliono esser grati à le donzelle,
     Piccioli augelli, e fiori, ambre, e monili,
     E conche, e pietre pretiose, e belle.
     Di gemme i diti schietti orna, e sottili,
     E le cangia ogni dì gonne novelle.
     Di perla oriental l’orna l’orecchia,
     E poi nel volto suo s’affisa, e specchia.

Miratola poi ben fiso, et intento,
     E datole ogni lode alta, e gioiosa,
     Fere l’orecchie sue con questo accento.
     Se ben pensai di viver senza sposa,
     Quando piacesse al ciel farmi contento
     D’una donna si bella, e gratiosa,
     Qual’è l’eburnea tua bellezza, e spoglia,
     Cangierei per tuo amor pensiero, e voglia.

Che quando già fermai ne la mia mente
     Di non voler compagna entro al mio letto,
     Fu per quell’atto osceno, et impudente,
     Ch’io vidi far nel mio regal cospetto.
     Ma l’alma vista tua casta, e prudente
     Promette honor, bontà, pace, e diletto.
     Promette il volto tuo grato, e giocondo
     Quanto di gioia, e ben può dare il mondo.

Ma tu del letto mio sarai consorte,
     S’io di tanta beltà però son degno.
     Te vò compagna far de la mia sorte,
     Non sol del letto mio, ma del mio regno.
     Tosto, che splender fa l’eterna corte
     Ne l’alto cielo ogni stellato segno,
     Spoglia la sposa, e ne le ricche piume
     La pon, qual fosse viva, e spegne il lume.

Così nel letto suo locolla, e tenne
     Da questo tempo in poi passato il giorno,
     Fin che quel dì sempre honorato venne,
     Ch’unir fa il regno Ciprio d’ogn’ intorno,
     Con pompa à venerar ricca, e solenne
     Nel tempio santo alteramente adorno
     La Dea, ch’in Cipro tien la propria sede,
     In cui l’isola tutta ha maggior fede.

La scure fra le corna ornate d’oro
     Lasciato havea cader l’aspra percossa,
     E in varij luoghi ucciso il bianco toro,
     Il sangue fatto havea la terra rossa.
     E su gli altari sacri al santo choro
     Il foco alta la fiamma havea già mossa,
     Et in honor de’ sempiterni Dei
     Facea salir al ciel gli odor Sabei.

Quando Pigmalion devoto, e fido,
     Che con gran pompa era venuto al tempio,
     Ver la Dea mosse il taciturno grido;
     Habbi pietà del mio tropp’aspro scempio,
     E d’una sposa il mio letto fa nido,
     Che da l’avorio mio prenda l’essempio,
     (Non osò dir, la statua eburnea aviva)
     Si ch’io la goda poi consorte, e viva.