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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/373

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Come sperar più avante, empia donzella?
     Che desiderio è il tuo? non pensi, come
     S’adempi la tua mente ingiusta, e fella ?
     Confonderai co’l parentato il nome?
     Vuoi tu de la tua figlia esser sorella?
     Vuoi, che germana il tuo figliuol ti nome?
     Pellice ti vuoi far de la tua madre?
     E innamorata adultera del padre?

Non vuoi temer le Dee crinite, e truci
     De’ serpi, che lasciato han già l’inferno.
     E con le faci, e con le crude luci
     Veggon l’indegno tuo furore interno.
     Gli essempi santi altrui prendi per duci,
     Mentre anchor senza errore è il corpo esterno.
     E non volere il natural desio
     Macchiar con un contento ingiusto, e rio.

Horsu poniam, che tu vogli macchiarlo,
     E far l’error; la cosa in se te’l vieta.
     Ch’egli, che sà il dover, vorrà servarlo,
     Rispetto havendo à la paterna pieta.
     Ó s’io potessi à miei voti placarlo,
     Qual sarebbe di me donna più lieta?
     Non havrei da portare invidia altrui,
     Se ’l medesmo furor prendesse lui.

Cinira intanto ricco di partiti
     Chiama la figlia, e mostrale una lista,
     Là dove scritti havea molti mariti,
     C’havean la sua beltà lodata, e vista.
     Le dice, che si giunga, e si mariti,
     E che contenti l’animo, e la vista.
     Tace ella, et alza gli occhi al padre intanto,
     Indi ardendo gl’inchina, e piove il pianto.

Che l’habbia, il padre suo fido si crede,
     Il timor virginale il pianto sciolto.
     L’asciuga il viso, e con paterna fede
     D’un dolce bacio le contenta il volto.
     Poi di quel, ch’ameria, marito chiede.
     Dice ella, un n’amerei, che in se raccolto
     Havesse in tutti i merti, e pregi suoi
     L’alto regio splendor, c’havete voi.

Cinira allhor de la risposta accorta
     Loda la figlia, e nel suo cor ne gode.
     Con queste note pie dapoi l’essorta.
     Se brami haver nel mondo eterna lode,
     Tal riverentia sempre al padre porta,
     E lascia, ch’à lo sposo egli t’annode;
     C’havendo l’occhio à tua santa honestade
     Sposo non ti darà, che non t’aggrade.

Quando sente parlar l’empia donzella
     Della santa honestate, abbassa gli occhi,
     Sapendo la sua mente infame, e fella,
     E gli empi ardori suoi nefandi, e sciocchi.
     Il padre, ch’abbassar la luce bella
     Vede, tien, che vergogna il cor le tocchi:
     Et infinita gioia entro al cor piglia,
     D’haver si santa, e si lodata figlia.

Le stelle prima apparse in oriente
     Eran di già salite à mezzo il cielo,
     E ’l sonno possedea l’humana mente
     Havendo à tutti gli occhi opposto il velo.
     Vegghiava sol la vergine imprudente
     Desta dal duol del furioso zelo;
     Che brama, e teme, e di tentare agogna,
     Ne sa trovar, che far per la vergogna.

Qual se la quercia annosa altera, e grossa
     Ferita il piè da gl’inimici ferri,
     Prima, che senta l’ultima percossa,
     Stà in dubbio da qual parte i rami atterri;
     Temon la grave sua ruina, e possa
     Quei, c’ha d’intorno à lei propinqui cerri;
     Al fin da quella parte, ond’ha piu pondo,
     Lascia cader l’altera cima al fondo:

Tale il ferito cor de la fanciulla
     Hor spiega ver la tema, hor ver la speme,
     Et hora il rio pensiero, hor l’altro annulla,
     E questo, e quel la sua ruina teme.
     Conchiude al fin, che ogni altra strada è nulla
     Per salvar se da le sue pene estreme,
     Se non la morte, e su l’ultima clade
     Al fine il dubbio cor ruina, e cade.