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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/374

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Disposta di morir prende la cinta,
     Indi il misero collo intorno allaccia,
     E sopra un seggio da la furia spinta
     Monta, e verso d’un legno alza le braccia.
     Hor mentre render vuol la trave avinta,
     La propinqua nutrice il sonno scaccia,
     Ch’ode Cinira, Vale, ahi cruda sorte
     Intendi hor la cagion de la mia morte.

Dorme vicino à lei la balia accorta,
     Tal, ch’udendo il romor dal letto sorge:
     Ma poi che l’infelice apre la porta,
     E quel, che brama far la figlia, scorge;
     Vien la guancia senil più trista, e smorta;
     Pur saggia à tempo à lei soccorso porge.
     Manda la fascia in mille pezzi, e poi
     Si batte, e graffia, e chier, che mal l’annoi.

Come ha la mesta figlia al laccio tolta,
     Si straccia, e fere, e duol; ma grida piano,
     E cerca qual dolor la fè sì stolta,
     Che dovesse tor l’alma al corpo humano.
     Si stà muta la vergine, et ascolta,
     E guarda in terra, e duolsi de la mano,
     Che tolse il laccio al circondato collo,
     E non le lasciò dar l’ultimo crollo.

Stà la vecchia ostinata, e la fanciulla:
     L’una non vuol parlar, l’altra la prega
     Per i primi alimenti, e per la culla,
     Che palesi il suo duol; ma non la piega.
     Le dice; Figlia, ogni sospetto annulla,
     Et à chi ti diè il latte, il fatto spiega.
     Volge ella il lume altrove, e non la guarda,
     E la risposta à lei nega, e ritarda.

Soggiunge la nutrice, il duol confida,
     Che ti fa in sì vil pregio haver la vita,
     Che non sol ti sarà secreta, e fida,
     Ma ti darò consiglio, e certa aita.
     Ne puoi trovar la più sicura guida
     Di quella madre pia, che t’ha nutrita;
     Non sento l’età mia però sì lenta,
     Che non ti possa anchor render contenta.

Se furioso ardor l’alma ti piaga,
     Si curerà con l’herba, e con l’incanto.
     S’alcun t’affligge il cor con arte maga,
     Io ti torrò con l’arte istessa il pianto.
     Se del ciel l’ira è di vendetta vaga,
     Placherò il ciel co’l sacrificio santo;
     Sia qual si voglia il morbo, io non rifiuto
     Di darti fido aviso, e certo aiuto.

Salvo il regno veggiam, salvo l’honore
     Da la malvagia sorte, e da nemici;
     Tua madre ha sano il corpo, e lieto il core,
     Tuo padre por si può fra i più felici.
     Come il nome di padre ella dà fuore,
     Rimembra à Mirra i suoi pianti infelici;
     E come piace al troppo ardente affetto,
     Manda un sospir dal più profondo petto.

Sospition la vecchia anchor non prende
     Del grande error, che in lei cagiona il male;
     Ma ben dal caldo suo sospiro intende,
     Ch’offeso ha il cor da l’amoroso strale.
     E da prudente l’animo l’accende
     À confessare il colpo aspro, e mortale:
     E poi che il volto suo nel sen raccoglie,
     Secca il pianto co’l vel, ma non gliel toglie.

Da poi le torna à dir; Figlia io conosco,
     Che t’ha piagato il cor l’aurato dardo,
     E che l’ardor de l’amoroso tosco
     Volle per sempre il Sol torre al tuo sguardo,
     Quand’ io tolsi la cinta al collo, e al bosco:
     Hor poi che ’l braccio mio non giunse tardo,
     Se l’ardor mi palesi, il qual ti preme,
     Farò, ch’anchor godrai l’amata speme.

Io porrò l’amor tuo ne le tue braccia,
     Se mi dirai, qual fiamma il cor t’accenda:
     Però nomarmi il giovane ti piaccia,
     E lascia dopo, ch’ io cura ne prenda.
     Ch’à tuo piacer farò, che teco giaccia,
     Senza, che ’l padre tuo nulla n’intenda.
     Viene al nome del padre ella vermiglia,
     E dal grembo senil la fuga piglia.