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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/375

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Si fugge (à fin, che ’l suo rossor s’asconda)
     Dal lungo prego, e dal senil cospetto
     Verso le piume; e ’l pianto, che l’abonda,
     Co’l viso volto in giù versa su’l letto.
     La vecchia la molesta, che risponda,
     Et ella dice; Ó torna al tuo ricetto,
     Ó non cercar, perch’io la morte brame,
     Perchè quel, che tu cerchi è vitio infame.

Trema al capo senil la chioma bianca
     Tosto, che sente infami esser gli affanni,
     E l’una, e l’altra man debile, e stanca
     Tende, che per l’horror trema, e per gli anni;
     Chiede aiuto à le stelle, e poi non manca
     Di ripregar, che spiani i propri danni,
     E che non tenga più la cosa oscura,
     Ma d’ogni cosa à lei lasci la cura.

Hor la prega, hor minaccia, accio che vinta
     Da l’un de due palesi il dubbio core.
     E dice, che dira di quella cinta,
     Con cui si volea tor l’aspro dolore;
     Com’ella gliela vide al collo avinta,
     E che ciò fu per dishonesto ardore:
     Ma che si sforzerà (se ’l ver le dice)
     Di farla à suo poter lieta, e felice.

Leva ella il capo, e mentre à dir si sforza,
     Di pianto bagna à la nutrice il seno.
     Tre volte per parlare usa ogni forza,
     E le vien il parlar tre volte meno.
     Ma poi, che un poco il gran timore ammorza,
     S’asconde gli occhi, e rompe al dire il freno.
     Ben ha la madre mia felice sorte,
     Che gode si pregiato, e bel consorte,

Come à fatica à questo punto venne,
     Con un sospiro ardente accrebbe il pianto:
     Poi nel volto à la balia il volto tenne,
     E del suo lagrimar le sparse il manto.
     Senza ch’ à la nutrice altro s’ accenne,
     Da le parole sue conosce, quanto
     Profanamente il suo desio post’ have,
     E trema, e ’l bianco pel s’ arriccia, e pave.

E per torle dal cor l’ infame affetto,
     Le fè veder l’ error del suo pensiero.
     Pur tor no’l posso (disse ella) dal petto,
     Se bene il tuo parlar conosco vero.
     Ó ch’ io seco godrò felice il letto,
     Ó darò l’ alma al regno afflitto, e nero.
     Quando la vide disperata in tutto,
     Così tor le cercò la vecchia il lutto.

Non vò, che la beltà si tosto muoia,
     Ch’ io scorgo ne le tue membra leggiadre;
     Vivi pur, tu godrai, (non ti dar noia)
     L’ amor del tuo (ma non osò dir padre)
     E seco gusterai la stessa gioia,
     Che nel generar te gustò tua madre.
     Et acquistò, per sostenerla in piede,
     La vecchia à se co’l giuramento fede.

Era venuto il venerato giorno,
     Nel qual solean le madri unirsi insieme
     Nel santo de la Dea fertil soggiorno,
     Ch’ al mondo apporta il più pregiato seme.
     Dove à l’ altar più de l’ usato adorno
     Per ben fondar la necessaria speme,
     Dovean liete portar candide panno
     Le spighe, ch’ allegrar fer prima l’ anno.

Dovea l’ illustre Dio, ch’ al lume è scorta,
     Mostrarsi nove volte in oriente,
     E dovea lasciar l’ aria oscura, e morta
     Notti altrettante ascoso in occidente
     Pria che la pompa, che le spighe porta,
     Finisse de la Dea santa, e clemente.
     E in tanto il letto, e l’ amoroso invito
     Fuggir dovean del cupido marito.

Fra l’ altre madri, che l’ officio santo
     Seguian de l’ alma Dea devota, e fida,
     Gia la moglie del Re co’l più bel manto,
     Come di tutte lor regina, e guida.
     E ’l genitor de la fanciulla intanto
     Dentro à le piume vedovo s’annida,
     E porge occasione à la nutrice
     Di render del suo amor Mirra felice.