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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/417

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E mossa dal naufragio à novo pianto
     Tende ver lui le mani, e’l grido scioglie.
     Ó misero mortal, che ’l carnal manto
     Cedesti à le marine ingorde voglie,
     Ben provo in me (se l’hai) misero quanto
     Dee lagrimar la sua scontenta moglie.
     Deh pria, che ’l sappia, se no’l sa per sorte,
     Le doni per pietate il ciel la morte.

S’appressa intanto il corpo morto al lito,
     E quanto l’ infelice più lo scorge,
     Tanto le fa lo spirto più smarrito
     La vista, che ’l cadavero le porge.
     Già meglio il vede, e più parle il marito,
     Quanto più ver l’arena il corpo sorge.
     Veduto al fine il suo marito fido
     Tende le mani à lui con questo grido.

À questo modo, ò misero Ceice,
     Torni per non mancar de la tua fede,
     Per far palese al mio stato infelice
     Quant’hai del mio languir doglia, e mercede.
     Mentre cosi la sventurata dice,
     Giungere al morto un picciol legno vede,
     Che, come il vide di lontan, si mosse,
     Per veder se potean trovar chi fosse.

Sicuro un’ alto, e grosso muro rende
     Da l’impeto del mar l’Heracleo porto,
     Al capo, che più in fuor su’l mar si stende,
     Vicino era arrivato il corpo morto.
     Su’l muro in un momento Alcione ascende,
     Bramosa di veder se ’l vero ha scorto,
     Al muro, e al corpo subito pervenne,
     Che le diè nel montarvi il ciel le penne.

Preso in tanto l’havean dentro à la barca
     Quei, che s’eran ver lui spinti su’l legno,
     E mostrar lor, com’era il lor Monarcha,
     Gli anelli, il volto, e ’l drappo illustre, e degno.
     Di molta carne in tanto Alcione scarca
     Vola per l’aria sopra il salso regno,
     Radendo il mar d’ ogni conforto priva,
     À l’infelice suo marito arriva.

Alcione piange, e sente il novo accento,
     Che da la nova bocca in aria vola,
     Esser pien di querela, e di lamento,
     Se ben non può formar più la parola.
     Con le nov’ale abbraccia il corpo spento,
     E da le morte labra il bacio invola.
     Ó miracol del ciel, tosto, che ’l rostro
     Il bacia, à lui ravviva il carnal chiostro.

Tutti, che veggon come il suo consorte
     Baciato vien da la cangiata moglie,
     Stupiti stanno, e più, quand’ei le porte
     Apre del lume, e se dal sonno scioglie.
     Ecco cangia in un punto anch’egli sorte,
     Et in un breve corpo si raccoglie.
     Vestito anch’ei da pinte, e varie piume
     Lo stesso in amar lei serba costume.

Radendo vanno insieme il mare, e ’l lido,
     Nel lor felice amor compagni eterni,
     Pendente sopra il mar formano il nido,
     Ne’ più tranquilli, e più beati verni.
     Eolo à nepoti suoi propitio, e fido
     Ogni suo vento fa, che s’ incaverni
     Ne’ sette dì, che forma il nido, e l’uova,
     E ne’ sett’ altri dì, ch’Alcione cova.

Fa imprigionare allhora Eolo ogni vento
     À fin, che ’l soffio lor non turbi il mare,
     À fin, che poi del mar l’alto tormento
     Non perturbi à l’Alcioni il generare.
     Allhora ogni nocchier lieto, e contento
     Sicuro può verso il suo fine andare;
     Perche in quei giorni il vento non s’adira,
     Ma in tutto tace, over dolce aura spira.

Ogn’un, che vide questa maraviglia,
     Altri su’l legno, et altri intorno al porto,
     Per ringratiare il cielo alza le ciglia,
     C’habbia donata l’alma al lor Re morto,
     E ch’in Ceice, e ne l’Eolia figlia
     Il reciproco amor veggon risorto:
     E in tanto il novo, c’han vestito aspetto,
     D’infinito stupor lor empie il petto.