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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/44

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Da questo figliuol mio ti dissuado,
     Come quel, ch’antivedo i nostri danni.
     Che mio tu periresti, e tuo mal grado,
     E se credi altramente, tu t’inganni.
     Quest’è troppo alto honor, troppo alto grado
     Per le tue forze, e per sì teneri anni.
     Questo pensier, dov’ hai l’animo inteso,
È per gli homeri tuoi troppo gran peso.

Figliuol, t’ha fatto il tuo destin mortale,
     Ma quel, che cerchi, dal mortal si parte,
     Che regger questo carro alcun non vale,
     Fuor, ch’ io, che n’ ho l’esperienza, e l’arte.
     Gli sfrenati destrier, le rapide ale
     Non potria raffrenar Giove, ne Marte.
     Giove, che aventa i folgori, e ’l ciel move.
     E che si può trovar maggior di Giove?

Erta è la prima via sì, che à gran stento
     I miei freschi destrier posson montarla.
     Quando à l’altezza poi giunto mi sento,
     E vengo con la mente à misurarla,
     M’assal tanto timor, tanto spavento,
     Ch’io non oso con gli occhi riguardarla,
     E tremo, figlio, anchor solo à pensare
     Quanto bassa allhor sia la terra, e ’l mare.

Quindi comincio à declinare al basso,
     E tal furia à la china il carro mena,
     E pommi in tal travaglio, in tal conquasso,
     Che mi fa perder l’animo, e la lena,
     E regger posso affaticato, e lasso
     Con ambedue le man la briglia à pena,
     Tal, che Theti tal’hor paventa, e teme
     Non pera co i cavalli, e ’l carro insieme.

E più bisogna opporsi al ciel, che gira,
     All’assiduo rotar del mobil primo,
     Ch’ à forza in alto l’altre stelle tira,
     Di via le toglie et le trabocca à l’imo.
     Me dal viaggio mio già non ritira,
     Gli vò sicuro incontro, e non lo stimo.
     Ti dò il carro, i destrier, la sferza, el morso,
     Pensi tu contra il ciel fare il tuo corso ?

Ne ti creder fra via prender ristauro,
     Selve, e città del ciel poter godere,
     Pensa pur pria, che giunghi al vecchio Mauro,
     lnsidie attraversar d’horrende fiere.
     S’ha da passar fra le corna d’un Tauro,
     Che ’l piu terribil non si può vedere:
     Questo mai del zodiaco non si parte,
     E ne guarda di dodici una parte.

Si và dove saetta il Sagittario,
     E dove rugghia il feroce Leone.
     E ciaschedun di lor crudo aversario
     A chi passa di là, tosto s’oppone.
     V’è quel, ch’ incurva le branche al contrario
     Di quel, che fa l’horrendo Scorpione,
     Un piega, e l’altro sì stende le braccia,
     Che fuor del segno suo la Libra abbraccia.

Ti pensi tu gli alipedi destrier,
     Fatti arditi dal foco, e dal veneno,
     Che sbuffan fuor, indomiti, et altieri,
     Poter ben governar sotto il tuo freno?
     Posso à pena farl’io, quando empi, e fieri
     Per la gran fugga han maggior foco in seno.
     Deh figliuol mio non m’astringer sì forte,
     Perche l’auttor sarei de la tua morte.

Tu cerchi solo un fido pegno havere,
     Per saper se da me disceso sei:
     Questo tu puoi dal mio volto sapere,
     Da la pietà, che sta ne gli occhi miei.
     In lor puoi chiaro scorgere, e vedere,
     S’ io ti son padre, ò nò; così vorrei,
     Che penetrar potessi ne l’interno
     Per veder meglio il mio pensier paterno.

Che mi preghi infelice, che m’abbracci
     Per ottenere il temerario intento,
     Che senza, che parola più ne facci,
     Ho da servar lo stigio giuramento.
     Mi spiace ben, che cosa ti procacci,
     Ond’ io ne viva poi sempre scontento.
     Cio, che chiedi, haverai: ma ben t’essorto,
     Che più nel chieder tuo ti mostri accorto.