Vai al contenuto

Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/45

Da Wikisource.

Ciò, che di ricco ha ’l ciel, la terra, e ’l mare,
     Chiedi figliuol, che non ti si contende:
     Ma questo, che detto hai, lascialo stare,
     Ch’ogni ruina tua di quì dipende.
     Quel desio, che ti fa tanto elevare,
     Sol la bassezza tua cerca, et attende.
     Quell’alto honor, che ’l tuo pensiero agogna,
     Sarà la morte tua, la tua vergogna.

Havea già detto il Sole ogni ragione,
     Che più dal suo desio potea ritrarlo;
     Ma vuol Fetonte il carro, e se gli oppone,
     E dice tuttavia, che vuol guidarlo.
     Quando ei vide la stessa intentione,
     E non poter da lei punto levarlo,
     Condusse lui prendendol per la mano
     Al carro, al dono egregio di Vulcano.

Di ricche gemme è quel bel carro adorno,
     Et ha d’oro il timone, et l’asse d’oro.
     Le curvature de le rote intorno
     Da salda fascia d’or cerchiate foro.
     I raggi son, che fan più chiaro il giorno,
     D’argento, e gemme in un sottil lavoro.
     E tutto insieme sì gran lume porge,
     Ch’in ciel da terra il carro non si scorge.

Mentre mira il magnanimo Fetonte
     Il nobil carro, il lavoro eccellente,
     L’Aurora uscendo fuor de l’orizonte
     Sparge di rose tutto l’oriente.
     Fuggon le stelle, e si bendan la fronte
     Tosto, ch’appar la stella più lucente,
     Ch’anchor si mostra, e coprir non si vole,
     Se fuor non vede pria spuntare il Sole.

Febo, che l’aria già farsi vermiglia
     Vede, e fuggir le tenebre l’Aurora,
     Comanda a l’Hore, che mettan la briglia,
     E ciò, che fa mestier per uscir fuora.
     Corre la velocissima famiglia,
     E fa tutte le cose allhora allhora.
     Tosto i freschi destrier d’ambrosia pieni
     Sentiro al collo i lor sonori freni.

Il Sol pria, che Fetonte il lume prenda,
     Gli unge di liquor sacro il capo, e ’l viso,
     Che da la fiamma rapida il difenda,
     E ’l faccia star da lei sempre diviso.
     Gli veste i raggi, e fa che ’l carro ascenda,
     E poi, che nel suo seggio il vide assiso,
     Piangendo disse; Poi, ch’ ir t’apparecchi,
     À quel, c’hor ti vo’ dir, presta gli orecchi.

La sferza co i destrier non usar troppo,
     Ma fa, che sappi ben tenergli in freno,
     Perche con l’ordinario lor galoppo
     Faran questo viaggio in un baleno:
     Attendi hor per non dar’ in qualch’intoppo
     À quel camin, ch’ io ti discrivo à pieno.
     Per quella zona hai da guidare il plaustro,
     Ch’in mezzo sta fra l’Aquilone, e l’Austro.

Un cerchio obliquo questa zona cinge,
     E per confin da questo, e da quel lato
     Ha le due zone, che la nostra attinge.
     In questo obliquo è il tuo camin serrato.
     Il vestigio vedrai, che vi depinge
     Il carro mio, che per tutto è segnato:
     Ma fa, ch’à questo anchora habbi rispetto,
     Ch’importa molto più di quel, c’ ho detto.

Per far la terra, e ’l ciel nel caldo eguali,
     Fa, che troppo alto ò basso andar non tenti.
     Se spieghi verso il ciel troppo alto l’ali,
     Gli arderai tutti i suoi corpi lucenti:
     Ma se troppo à l’ingiù t’atterri, e cali,
     Con la terra arderai gli altri elementi.
     Se ’l ciel vuoi salvo, e non arder la terra,
     Fra l’uno, e l’altro il tuo camin riserra.

Io raccomando à la fortuna il resto,
     Che meglio di te stesso ti consigli,
     E di nuovo t’essorto, e ti protesto,
     Che ’l periglioso freno in man non pigli.
     Ma bisogna d’andar, ch’ io son richiesto
     Da i colori del ciel, bianchi, e vermigli;
     E già la notte fuggendo tal vista,
     Ne l’Ocean sommersa è scura e trista.