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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/452

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Venir superbi ecco i Troiani un giorno,
     E seco han Giove, Apollo, il ferro, e ’l foco.
     Dov’era allhor co’l suo parlare adorno
     Ulisse fuor del bellicoso gioco?
     La speme io del comun salvai ritorno,
     Difesi queste navi, e questo loco.
     Opposi al ferro, e al foco il corpo, e l’alma,
     E mille ne salvai con questa palma.

Si che benigni Heroi, prestanti, e degni
     Fate, che in ricompensa habbia quell’armi.
     E s’io vi diè tant’oro, e tanti legni,
     Datemi tanto acciar, ch’ io possa armarmi.
     Per conquistare à voi gli esterni regni,
     Per poter meglio in favor vostro oprarmi,
     Le chieggo, e per poter via più sicuro
     Farvi à queste galee riparo, e muro.

E s’à me stesse ben di dirne il vero,
     S’io m’armo di quel ferro, e di quell’oro,
     Trarran l’arme più honor dal cavaliero,
     Che ’l cavalier non è per trar da loro.
     Quell’elmo chiede Aiace, e quel cimiero,
     Che di palma ogni dì l’orni, e d’alloro.
     Può far senz’elmo Aiace, e senza scudo,
     C’ ha il core armato, anchor che fosse ignudo.

Hor comparisca Ulisse, e si dia vanto,
     Ch’egli ha il fratel d’ Hettorre Heleno preso,
     Et involato il simulacro santo
     Di Pallade, e Dolone ucciso, e Rheso.
     Vi par, ch’al paragon possan di quanto
     Fin hor del mio valore havete inteso,
     Star le meschine sue prove, che furo
     Fatte mentre egli il ciel vide più scuro.

Ne s’arrischiò giamai, che non volesse
     Sotto lo scudo altrui star me’ coperto.
     Sempre d’andar con Diomede elesse,
     Tal ch’ogni fatto suo può dirsi incerto.
     Hor quando al tribunal vostro paresse
     Di donar l’arme à cosi debil merto,
     Partitele per mezzo, e Diomede
     Ne la parte miglior succeda herede.

Perche vuol di quell’arme esser tiranno,
     Se l’opre sue senz’arme à fin conduce?
     Se in vece de la spada usa l’inganno ?
     Se col le frode altrui toglie la luce?
     Non vede ei, che le gemme, che le fanno
     Risplender tanto, e l’or, che vi riluce,
     Paleseran, che Ulisse ivi si chiude,
     Ne potrà usar le frodi infami, e crude ?

Potrà quell’elmo grave adamantino,
     Che si temprò nel regno atro, e profondo,
     Portare Ulisse mai, che ’l mio cugino
     Portò, che ’l più fort’ huomo era del mondo ?
     Potrà il suo braccio debole, e meschino
     Un frassimo arrestar di tanto pondo ?
     L’hasta arrestar, che in mille imprese, e mille
     Fe gir di tante palme altero Achille?

Deh, perche vuoi gravare il braccio manco
     D’un cosi greve, e smisurato scudo?
     Che ti farà si debole, e si stanco,
     Che saria me’ per te d’essere ignudo.
     Potresti almen fuggir sicuro, e franco
     Nel fatto d’arme periglioso, e crudo.
     Sai pur, che se lo stuol Frigio ne preme,
     Tu fondi nel fuggir tutta la speme.

E se per sorte lui rendete armato
     De l’arme, che temprò l’inferno, e Pluto;
     Gli fate un don, perche ne sia spogliato,
     E non, perche ne sia via più temuto.
     Ma s’andrà di quell’arme Aiace ornato,
     Come à l’insegne sue fia conosciuto,
     Havran per quel, che n’han più volte visto,
     Altro à pensar, ch’à far de l’arme acquisto.

E poi lo scudo tuo, l’elmo, e ’l cimiero
     Sì raro è al martial furor condotto,
     Che, come puoi vedere, è tutto intero,
     Ne luogo v’ha, che sia percosso, ò rotto.
     Ma il mio, che in ogni scontro acerbo, e fero
     Cerca salvar colui, ch’asconde sotto,
     Da mille piaghe aperto esser si vede,
     E novo successore agogna, e chiede.