Vai al contenuto

Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/467

Da Wikisource.

Finge, e soggiunge il Re, che tanti danni,
     Che le dà il ciel, con forte cor sopporti,
     Finche giunto il figliuolo à miglior’ anni,
     Possa ricuperare i patrij porti.
     Ma per non dare à Greci empi, e tiranni
     Sospetto, è ben, ch’altrove si trasporti:
     E che in quanto al figliuol tenga sicura,
     Che, come fosse suo, ne terrà cura.

Lo sdegno Hecuba à pena, e ’l pianto tiene,
     Pur anch’ella fingendo à lui risponde.
     Ch’in quanto à Polidoro egli fe bene,
     À mandarlo lontan da quelle sponde.
     E ch’un thesor, c’ ha ne le Tracie arene,
     Brama mostrare à lui, dove s’asconde,
     À fin che, come il campo è gito via,
     Il serbi, e giunto il tempo al figlio il dia.

E che brama condurlo in quella parte,
     Ma che non vuol, ch’ il Re meni alcun seco,
     A fin ch’alcun per guadagnarne parte,
     Non ne fesse avisato il Signor Greco.
     E seppe predicargli con tanta arte,
     Che ne rimase il Re di Tracia cieco.
     L’amor d’haver quell’oro il fe si folle,
     Che si lasciò condur dov’ella volle.

Poi c’hebbe un’ uscio à lui secreto aperto,
     Il traditore incognito pervenne
     Al loco destinato, à quel deserto,
     Nel qual la madre Frigia il voto ottenne.
     Mostrami, dice, l’oro, ov’è coperto,
     Che dì, ch’al regno mio di Troia venne,
     Quel novo, che dett’ hai, Phrigio thesoro,
     Che vuoi, ch’io serbi in Tracia à Polidoro.

Per quel, che ne governa, eterno fato,
     Giuro, e per quel, ch’à noi risplende, Sole,
     Che quel, che mi darai, quel, che m’hai dato,
     Tutto al suo tempo fia de la tua prole.
     Ella con volto horribile, et irato
     I giuramenti taglia, e le parole,
     Et à le schiave Frigie dato il segno,
     Crudele assalta il Re del Tracio regno.

De le madri Troiane, che condotte
     Eran prigioni à lo Spartano lido,
     N’haveva alcune ascose in certe grotte,
     Vicino al luogo, ov’era il Trace infido.
     Le quai per dare à la perpetua notte
     Il Re, saltaro fuor sentito il grido.
     Hecuba intanto l’unghia adopra, e ’l dente,
     E l’animo, ch’ella ha, la fa possente.

Come la squadra muliebre giunge,
     E chi à traverso il tien, chi per le braccia,
     Co’ diti più, che può, ne’ lumi il punge,
     Tal che per forza fuor gli occhi ne scaccia.
     Salta del proprio albergo ogn’occhio lunge,
     E ’l sangue in copia va giù per la faccia.
     Perseguon di ferir gli stessi diti
     Gli occhi non già, ma ben de gli occhi i siti.

Son può far resistenza il Tracio duce
     Al troppo stuol de le Troiane ancelle.
     Il gran dolor de la perduta luce
     Gli fa le strida alzar fin à le stelle.
     Il popol , ch’à le strida si conduce,
     Vede color d’ ogni pietà rubelle
     Contra il lor Re, ch’è senza alcuna aita,
     Per torgli con le luci anchor la vita.

Chi per traverso una Troiana prende,
     E dal suo Re per forza la ritira;
     Chi con arme, ò bastone un’altra offende,
     E sfoga sopra lei lo sdegno, e l’ira.
     Ecco un, che verso un sasso i lumi intende,
     E dopo il piglia, e contra Hecuba il tira.
     Lo schiva ella, e si sdegna, e stende il corso,
     E ’l segue, e con furor vi da di morso.

Un’ altro la percosse, et ella volse
     Con la favella solita dolerse,
     Ne, come già solea, la lingua sciolse,
     Ma co’l latrar del can la bocca aperse.
     Tal che la prima forma à lei si tolse,
     E tutta in una cagna si converse.
     E ’l luogo, ove cangiò l’humane some,
     Anchor ritien del caso istesso il nome.