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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/53

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Gli sparti raggi per gli arsi sentieri
     Febo ritrova, e l’infiammate spoglie;
     Gli anchor smarriti, e stupidi destrieri
     Sotto il suo duro fren di novo accoglie;
     E incolpa lor, che sì vani, e leggieri
     Mal secondar l’altrui giovenil voglie.
     E come sian cagion del suo martoro,
     Gli batte, e sferza, e incrudelisce in loro.

Poi che l’alto motor le luci sparte
     Vide raccor dal suo rettor primiero,
     Volle veder, se ’l foco in qualche parte
     Nociuto havesse al suo superbo impero,
     Dove Vener trovò Saturno, e Marte
     Tutti il lor cerchio haver saldo, et intero:
     Onde volse à la terra il suo coraggio,
     Per ristorarle il ricevuto oltraggio.

Discende in terra, e la sua maggior cura
     È di rifarle in tutto il torto, e ’l danno;
     E trova i fiumi anchor pien di paura,
     Che nel materno ventre ascosi stanno,
     E d’uscir fuora alcun non assicura
     Il timor, c’han del foco havuto, et hanno.
     Egli li fece uscir, ben che sospetti
     À dar da bere à i lor bruciati letti.

Gli arbori arsicci, e senza il primo ornato,
     Senza fior, senza frutti, e senza frondi,
     Tutti fa ritornar nel primo stato
     Di tutti i pregi lor lieti, e fecondi.
     Fà, che ’l distrutto, e polveroso prato
     D’herbe, e di fior, più che mai lieto abondi,
     E fiumi, e piante, e prati, et herbe, e fiori,
     Racquistar tutti i lor perduti honori.

Andando Giove in questa parte, e in quella
     Per veder s’altro il mondo havea di guasto,
     Trova in Arcadia una vergine bella,
     C’ ha il sembiante lascivo, e ’l petto casto.
     Serve Diana, e Calisto s’appella
     Figlia à colui, che lupo era rimasto,
     Quando per far le temerarie prove,
     Fè quel convito sì nefando à Giove.

Sopra tre lustri havea girato il Sole
     Una volta il suo cerchio intorno intorno
     Dal dì, ch’ in terra uscì sì degna prole,
     Che fe di sì bel dono il mondo adorno.
     Ben mostran le bellezze uniche, e sole,
     Che non ha più, ne manco tempo un giorno:
     Che ’l ben disposto corpo, e la beltade
     Ben corrisponde à la sua verde etade.

Non vuol, ne men l’accade per ornarsi,
     Che capei biondi si proccaci, ò finga,
     Ch’assai l’è, perche i suoi non cadan sparsi,
     Ch’un sottil nastro li circondi, e stringa.
     À i vestimenti suoi succinti, e scarsi
     Basta tanta cintura, che li cinga;
     E sta sì ben disposta ogni sua parte,
     Che rassembra un dispregio fatto ad arte.

Sola, e sicura la vergine bella
     Figlia del Re d’Arcadia se ne gia,
     Vestita à guisa d’una pastorella,
     Come à la legge sua si convenia;
     Perche costume fu d’ogni donzella,
     Che di Diana la norma seguia,
     Fuggir le pompe, e vestir puro, e schietto
     Per dimostrar la purità del petto.

L’angelico suo viso, il bel sembiante,
     Il vago de’ begli occhi, e lo splendore,
     E le maniere gratiose, e sante,
     Che mostran la bellezza interiore,
     E l’altre cose belle, che son tante,
     Quante n’ ha fatte di sua mano Amore,
     Con dolce vago fan, ch’ insieme accolto
     Fà Venere albergar nel suo bel volto.

Giove come farà, ch’ incontra, e guarda
     Un sì leggiardo, e sì divino aspetto,
     Che novo amor per lei nol prenda, et arda,
     Che non cerchi gustar novo diletto?
     Per lo piacer, ch’egli ha, pur si ritarda
     Del suo libero andar senza sospetto.
     Quel bello andar dal suo desio l’arretra,
     Che fa superbo l’arco, e la faretra,