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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/55

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Giove nel ciel vittorioso riede,
     E lascia quella, sconsolata, e mesta,
     C’ ha quella selva in odio; e ciò, che vede,
     C’ ha veduto il suo caso, la molesta.
     Dal consapevol loco à torre il piede
     Si move sì sollicita e sì presta,
     Et ha tanta la fretta d’andar via,
     Che quasi l’arco, e la faretra oblia.

Mentre fra se la sua fortuna piagne,
     E quasi ad ogni suo passo sospira,
     Diana scevra da le sue compagne
     Venirle incontro à l’ improviso mira.
     La Dea fa cenno à lei, che s’accompagne,
     Ma quella al primo fugge, e si ritira;
     Che teme anchor, che Giove insidioso
     Non si dimori in quella forma ascoso.

Ma come poi s’accorge, che le vanno
     Non lungi l’altre sue caste sorelle,
     E che conosce esser lontan l’ inganno,
     S’accosta, e cresce il numero di quelle.
     Ahi come asconde mal seta, ne panno
     Quel vitio, che fa donne le donzelle;
     Come ne danno indubitato aviso
     Le maniere, e l’andar, la lingua, e ’l viso.

Più non si vede andar lieta, e superba
     Innanzi à l’altre, come far solea,
     Ma gli occhi non ardisce alzar da l’herba,
     Ne ’l volto à l’alma, e riverita Dea,
     Pur cerca asconder la sua doglia acerba,
     Per non far noto il caso, ond’ella è rea;
     Ma di poterla ben celar l’è tolto
     Dal raddoppiato suo rossor del volto.

Le vergini hanno il cor pudico, e netto,
     Ne san per segni accorgersi del vero:
     Onde tutte ne van senza sospetto,
     Pensando, che le prema altro pensiero.
     Ma ben saprete onde viene il difetto
     Prima, che passi il nono mese intero.
     Vivete pure, e conversate insieme,
     Che saprete il dolor, c’hoggi la preme.

Dal dì, ch’ in forma de la figlia Giove
     Sfogò l’immoderato suo desio,
     Nove volte mostrò le corna nove
     La Luna, et altrettante il tondo empio
     Pria, che Diana un dì giungesse dove
     Le parve di fermarsi appresso un rio,
     In una selva di quercie, e di faggi,
     Per fuggire i fraterni estivi raggi.

Lodato c’hebbe l’ombra, il bosco, e ’l sito,
     Le parve fare il saggio anchor de l’acque,
     E dentro il piede postovi, e sentito
     Il suo temperamento, assai le piacque;
     E fatto à tutte un generale invito
     Di doversi bagnar, lor non dispiacque,
     C’hanno il loco opportuno, e ben disposto,
     Et ogni occhio, et ogni arbitro discosto.

Hor che farà Calisto? se si spoglia,
     Forz’è, che l’error suo si manifeste.
     S’indugia, e mostra ben, che non n’ha voglia.
     Ma l’altre à forza le traggon la veste,
     E scopron la cagion de la sua doglia,
     E ’l bel ricetto del seme celeste.
     Ella non può con man celar sì ’l seno,
     Che l’error non palesi il ventre pieno.

Fuggi putta sfacciata, e come hai fronte
     Star con noi senza il tuo virginal fiore?
     Non profanar questo sacrato fonte,
     Non macchiar questo limpido liquore.
     Deh non Diana, non le dir tant’onte,
     Che s’ ha corrotto il corpo, hà casto il core;
     Hà sano il suo di dentro, ma la scorza
     Non, che ’l tuo genitor l’hà fatto forza.

La casta compagnia sdegnata diede
     À la compagna rea perpetuo essiglio.
     L’infelice Calisto, che si vede
     Esser’ in odio al virginal conciglio,
     Scontenta, e trista al patrio albergo riede,
     Dove poco dapoi diè fuora un figlio,
     Che riuscì da seme sì perfetto
     Nobil di sangue, d’animo, e d’aspetto.