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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/57

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Giovane, e nobil ne le caccie altera
     Ferir’ osasti ogni animal feroce,
     Et hor, che sei sì valorosa fera
     Ogni vil’ animal ti caccia, e noce.
     Deh mostra lor la faccia horrenda, e fera,
     Fa loro udir la tua tremenda voce.
     Le forze, il morso, e l’unghie tue son tali,
     Che non hai da temer gli altri animali.

Ó sfortunata, abbandonata, e priva
     D’ogni commercio, perche fuggi gli Orsi ?
     De la lor specie sei, lor non sei schiva,
     Non dei temere i lor graffi, i lor morsi.
     Quanto meglio saria non esser viva,
     Ch’ad animal sì brutto sottoporsi.
     Pur per men mal, d’andar con loro eleggi,
     E i lor costumi impara, e le lor leggi.

Figlia del Re d’Arcadia, che potevi
     Fra tanti Regi eleggerti un consorte,
     Ahi quanto, quanto credo, che t’aggrevi
     Sopporti à un’ animal di sì vil sorte.
     Fallo scontenta, fa, che farlo devi,
     Mentre non ha di te pietà la morte.
     Per l’huom deforme sei, stuprata, e fella,
     Ma gli Orsi almen t’havran per buona, e bella.

Io veggo, io veggo ben, come tu piagni
     Levata in piè, stendendo al ciel le braccia.
     Col batter zampa à zampa ancho accompagni
     Il suon, che ’l gozzo rauco fuor discaccia.
     Oime non ti graffiar, vedi che bagni
     Del sangue tuo la tua ferina faccia,
     Che l’unghia è troppo aguzza, e fora, e fende,
     Quella solo usar dei, s’altri t’offende.

Arcade, il figlio, che già fe Calisto,
     (Così havea nome) del Rettor superno
     Fra le stagion de l’anno havea già visto
     Quindici volte esser signore il verno;
     E l’Orsa in quello stato infame, e tristo
     Havea vagato il bel regno paterno,
     Insidiata, e piena d’ogni male
     Senza tor compagnia d’altro animale.

Cacciando per le selve d’Erimanto
     Arcade, e ricercando ogni pendice,
     Con cani, e reti, e con cento altri à canto,
     S’incontrò ne l’ignota genitrice.
     Come ei la vede, si ritira alquanto,
     Ma non si ritirò quella infelice,
     Ma come ben riconoscesse il figlio,
     Tenne in lui fermo il trasformato ciglio.

Ei, che s’accorge, ch’à lui sol pon mente,
     Teme di qualche mal, se non s’aita;
     Lo strale, e l’arco incontra immantinente.
     E pensa darle una mortal ferita.
     Che farai scelerato, e sconoscente
     Darai la morte à chi ti diè la vita?
     Provedi al paricidio ò sommo padre,
     Se non tuo figlio ucciderà sua madre.

Per vetar Giove, ch’Arcade non faccia
     Quel maleficio, al quale il vede intento,
     Gli cangia in un momento e sesso, e faccia,
     Fallo un’altra Orsa, e fa levare un vento,
     Ch’ambe le leva in aria, e via le caccia
     Verso Boote assiderato, e lento,
     E tanto le portò per l’aria à volo,
     Ch’ in ciel le collocò vicine al polo.

Là dove poi la lor rugosa pelle
     Si fece un manto chiaro, e trasparente,
     E si fer tutte le lor membra stelle.
     Questa è men grande, e quella è più lucente,
     Hor l’Orse son del ciel lucide, e belle,
     Et Orse anchor son dette da la gente,
     E per l’Orsa minor la madre è nota,
     L’altra è maggior, che fa più larga rota.

Ahi come si gonfiò d’ira, e di sdegno
     Giunon, visto colei splender nel cielo,
     Et esser fatta del celeste regno
     Senza l’ hirsuto, e ruginoso pelo.
     Come se n’alterò, come fe segno
     Del novo nato al cor timore, e gelo.
     Come andò tosto à scoprir le sue voglie
     Al canuto Oceano, et à la moglie.