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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/63

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Chiron, che del figliuol preso havea cura,
     Ch’uscì fuor vivo d’un corpo funesto,
     Fù sol virile insino à la cintura,
     Tutto era forma di cavallo il resto.
     Fù figliuol di Saturno, e la natura
     Fe, ch’ei nascesse gemino per questo.
     Saturno amò già Filira, che nacque
     De l’Oceano, al fin con lei si giacque.

Un dì perche la sua moglie, e sorella,
     Che ve’l trovò, non comprendesse il fallo,
     Prese à bel studio una forma novella,
     E si fece di subito un cavallo.
     Gravida lasciò poi la Ninfa bella,
     Onde nacque Chiron semicavallo,
     Che l’ignobil sua parte inferiore
     Trasse dal trasformato genitore.

Questi con studio di nutrir godea
     Sì degna prole fra la sua famiglia,
     E de l’honor, che giunto al peso havea
     Vivea contento, e lieto à maraviglia.
     Più cura una donzella ne tenea,
     Ch’era indovina, e del Centauro figlia,
     Che sapea, che quel parto almo, e giocondo
     Salute esser dovea di tutto il mondo.

In Frigia già ne l’honorate sponde
     Del furioso, e rapido Caico
     D’una Naiade nacque di quell’onde
     Questa indovina Vergine, ch’io dico.
     Chiamossi Ocira, et hebbe sì seconde
     Le stelle al suo natale, e ’l ciel sì amico,
     Che profetò gli altissimi decreti,
     Che in mente de gli Dei stavan secreti.

Tutta infiammare un dì la fata Ocira
     Si sente da lo Dio, c’ha chiuso in petto,
     Rivolge gli occhi al dolce infante, e ’l mira
     Scapigliata, et horribil ne l’aspetto,
     Indi secondo il suo furor l’inspira,
     Scioglie la lingua à quel, che le vien detto,
     Cresci fanciul, la cui somma virtute
     Di te gloria sarà, d’altrui salute.

Alma gentil, più che mai fosse in terra
     Accetta, salutifera, e gradita,
     Tu l’alma (se dal corpo si disserra)
     Tornar por tra i di novo al corpo unita,
     Tu sol saprai trar l’anima sotterra,
     Donando al corpo sì stupenda aita,
     Ma ti torrà da sì mirande prove
     Lo stral de l’avo tuo paterno Giove.

E d’immortal diventerai mortale,
     Di mortal morto, e poi di morto Dio,
     Onde più volte il tuo destin fatale,
     Così rinoverai, com’hor dico io.
     Così dicea la donna spiritale
     Al picciolo fanciul, ne qui finio,
     Ma rivolse il profetico furore
     Al biforme, et attento genitore.

E tu, nato immortal padre, che gli anni
     Pensi, che non ti debbian mancar mai,
     Voglio, che da me sappi, che t’inganni,
     E vo dirti una cosa, che non sai,
     In questa grotta, in questi stessi scanni
     Un tuo nipote un dì seder vedrai
     Figlio d’un tuo fratel, c’havendo un mostro
     Ucciso, albergherai nel tetto nostro.

Le venenose sue freccie mirando,
     Che del valor di lui ti faran fede,
     E le qualità sue considerando,
     Caderanne una, e feriratti un piede:
     E nove giorni un gran dolor provando,
     Non cesserai di dimandar mercede,
     E pregherai, che d’ immortal gli Dei
     Ti facciano mortal, dove hor non sei.

Onde mossi à pietade essi vorranno,
     Che tronchino il tuo fil le tre sorelle.
     De i fatti Ocira, che sol gli Dei sanno,
     Havea da dir mill’altre cose belle,
     E forse, che gli Dei trasformeranno
     Le sue membra biforme in tante stelle,
     Che somigliando il già terrestre velo,
     Faran, che splenderà Centauro in cielo.