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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/65

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D’ira troppo profana Apollo acceso,
     Che non può contra Giove vendicarsi,
     Da i Ciclopi, che fer quel dardo, offeso
     Si tiene, e contra lor pensa sfogarsi.
     Gli strali immantinente, e l’arco preso,
     Trova i Ciclopi affumicati, et arsi;
     Nel primo che trovò, la mira prese,
     E la saetta, l’occhio, e l’arco tese.

Una man preme l’arco à più potere,
     E l’altra tira il nervo, e non s’accorda,
     Anzi par, che ambe diano in un parere
     Di romper l’arco, ò scavezzar la corda;
     Scocca l’arco, ei sta fermo per vedere
     Volar la freccia di ferire ingorda,
     E la vista da lei mai non disgiunge,
     Che vuol veder come obedisce, e punge.

Veduto il primo strale obediente,
     Ch’al primo, che trovò, passò la fronte,
     Ne scocca un’ altro, e manda similmente
     Un’ altro à la barchetta di Caronte;
     Et odia sì quell’affumata gente,
     Che non vi lascia Sterope, ne Bronte,
     Sdegnato Giove, e tutto il suo consiglio,
     Per un tempo gli dier dal cielo essiglio.

Sì che Chiron tu preghi senza frutto,
     Ch’altrove egli ha il pensier selvaggio intento.
     Sbandito egli dal ciel s’era ridutto
     Pastor d’Ameto à guardia del suo armento,
     Dove deposta ogn’altra cura in tutto,
     Menava i giorni suoi lieto, e contento,
     E fu sì saggio, temperato, e forte,
     Che visse lieto in così bassa sorte.

Con una pelle da pastore intorno,
     Con un grosso baston d’olivo in mano,
     Se’n va lungo l’Anfriso, ò in quel contorno,
     E quando pasce il monte, e quando il piano.
     Passa talhor con la sampogna il giorno,
     come conviensi al suo stato silvano;
     Dando spirto hor à questi, hor à quei fori
     Canta i novelli suoi più rozzi amori.

Felici quei, che son così prudenti,
     Che san col tempo accommodar la vita.
     Hor mentre Febo i suoi soavi accenti
     Gusta, e ’l suo dolce suon l’alletta, e invita,
     Ha sì gli spirti al suo cantare intenti,
     Che gli è la guardia sua di mente uscita,
     Tanto, che i buoi da lui fuggiti, e sparsi
     Stavan senza custodia à pascolarsi.

L’acorto Dio de’ furti à caso scorge,
     Ch’Apollo è intento à disnodar le crome,
     E perche ’l ciel l’ha in odio, al furto porge
     La man per gravar lui di doppie some,
     I buoi gl’invola, e sol di ciò s’accorge
     Un canuto pastor, che Batto ha nome.
     Questi pascea fra Pilo, e ’l lito Alfeo
     L’armento martial del Re Neleo.

I buoi Mercurio imbosca, indi si parte,
     Et al bosco, et à i buoi volta le spalle;
     Ritrova Batto, e tiratol da parte
     (Disse) qual tu ti sia, che in questa valle
     Guardi una razza per l’uso di Marte
     Di sì superbe, e nobili cavalle,
     S’habbi ogn’honor dal ciel, quel, c’hai veduto,
     Serba dentro al tuo cor nascosto e muto.

E per farti conoscer, ch’io compasso,
     E ch’io misuro ben l’altrui mercede,
     Questa giuvenca candida ti lasso,
     In premio, e guiderdon de la tua fede.
     Rispose Batto, e dimostrando un sasso
     Prima dirà le tue bovine prede
     Quell’atra selce, inanimata, e dura,
     Che quel pastor, c’hor ti promette, e giura.

Il messaggier di Giove per far prova
     S’egli è per osservare il giuramento,
     Si parte, e si trasforma, e torna, e trova,
     Quel, che del don bovin lasciò contento,
     E con grand’arte gli dimanda nova
     Del pur dianzi da lui rubato armento,
     Se tu mi fai pastor del furto certo,
     Un toro, et una vacca havrai per merto.