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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/89

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Non potè far’ allhor, che non ridesse
     Giove, bench’altro havesse in fantasia,
     Udendo le querele strane, e spesse,
     Che la moglie movea per gelosia.
     Ne si potè tener che non dicesse
     Che dava qualche inditio di follia
      À dir, che l’huom più si compiaccia, e goda,
     Quando con la consorte amor l’annoda.

E se par, c’habbia l’huom maggior piacere,
     Ch’ei prega, ei serve, ei narra il suo martoro,
     E con difficultà le donne havere
     Può, se non spende i prieghi, il tempo, e l’oro:
     Questo avien, che le leggi fur severe,
     Che conoscendo l’ingordigia loro,
     Fer come infame esser mostrata à dito
     Donna, ch’altri godea, che ’l suo marito.

Che se non raffrenasse questo alquanto
     Quel desio, che le donne hanno di nui,
     L’huom pregato saria da tante, e tanto,
     C’huopo non gli saria pregare altrui.
     Questo è quel, che vi tien: che se far quanto
     Stà bene à l’huom, lecito fosse à vui,
     Sareste al proferir tanto per tempo,
     Che l’huom non spenderia priego, oro, ò tempo,

E che questo sia il ver, pogniamo mente
     À chi pon maggior cura in adornarsi,
     Le donne sol per allettar la gente,
     Altro non studian mai, che belle farsi.
     Ben vede questo ogn’un palesemente,
     Io non parlo di quel, che dee celarsi,
     Che voi, se come à l’huom vi fosse honesto,
     Fareste à la scoperta anchora il resto.

Ben raddoppia in Giunon l’orgoglio, e l’ira,
     Quella ingiusta, et infame opinione,
     E tanto più le preme, e se n’adira,
     Quanto più vede, ch’egli al ver s’oppone,
     Trova, che quel piacer gli homini tira
     Fuora d’ogni honestà, d’ogni ragione,
     Ne tien, che tanto à loro aggradi, e giove,
     Da poi che tanto non le sforza, e move.

Replica, e dice, e pur cerca provare,
     Che l’huom più dolce frutto, gusta, e coglie,
     E gli la lascia à suo modo sfogare,
     E in patientia ogni cosa si toglie.
     Al fin sì il punge, ch’ei risponde, e pare
     Più il marito ostinato, che la moglie,
     E vuol, che ne le donne al suo dispetto
     Sia senza paragon, maggior diletto.

Dopo molto garrir conchiuso fue,
     Per por silentio al lor ridicol piato,
     Che dicesse ciascun le ragion sue
     Ad un, che maschio, e femina era stato.
     Fu femina una volta, e maschio due,
     Un’ huom, ch’era Tiresia nominato,
     E spesso hor donna, hor huom gustati havea
     I frutti del figliuol di Citherea.

Più strano caso mai non fu sentito,
     Più degno di memoria, e di stupore,
     Ch’essendo questi un giorno à caso gito
     In un bosco à fuggir le più calde hore,
     Vide due serpi, la moglie, e ’l marito,
     Che congiunti godean del lor amore.
     Et con un cerro à lor battendo il tergo
     Fe, ch’al lor fin cercar più occulto albergo.

À pena dà ne l’auree, e vaghe pelli,
     Che gli vien l’esser suo di prima tolto,
     Manca la barba, e cresce ne’ capelli,
     Si fa più molle, e delicato il volto,
     S’ ingrossa il petto, e fuggon tutti i velli,
     Si ritira entro al corpo, e stà sepolto
     Quel, che distingue da la donna l’huomo,
     Tal che si trova donna, e non sa como.

Trovo, che la Natura ha molto à sdegno
     Chi impedisce i diletti naturali,
     E se n’adira forte, e talhor segno
     Ne fa con varij, et infiniti mali.
     Dispiacque à la Natura, che quel legno
     Tolse gli abbracciamenti lor carnali
     À gl’indolciti serpi, e dimostrollo
     Allhor, ch’ irata disse, e trasformollo.