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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/94

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La vaga, e bell’imagine, ch’ei vede,
     Che ’l corpo suo ne la fontana face,
     Che sia forma palpabile si crede,
     E non ombra insensibile, e fallace.
     In tutto à quello error si dona, e cede,
     E di mirarla ben l’occhio compiace.
     E l’occhio di quell’occhio acceso, e vago
     Gioisce di se stesso in quella imago.

Come statua di marmo immobil guata
     Il bel volto ne l’onda ripercosso,
     E loda ne la guancia delicata
     Il ben misto color candido, e rosso.
     Gli par, ch’al Sol la chioma habbia levata,
     Et à Venere il viso, à Marte il dosso.
     E loda, essalta, et ammira in colui
     Tutto quel bel, che fa mirabil lui.

Loda di se medesmo il degno aspetto,
     Mentre quel di colui lodare intende.
     E se ’l desio de l’ombra gli arde il petto,
     Un gran desio di lui ne l’ombra accende.
     E di ciò vede un evidente effetto,
     Che gli atti, che le fa, tutti gli rende.
     Se ’l volto à lei pietoso inchina, e porge,
     La medesma pietà ne l’ombra scorge.

Mosso da una speranza vana, e sciocca,
     Che gli dà quell’imagine divina,
     Accosta in atto di baciar la bocca,
     E quei tende le labra, e s’avicina.
     Ecco, che quasi già l’un l’altro tocca,
     Ch’un alza il viso in su, l’altro l’inchina.
     Vien questo al caldo, e dolce bacio, e tolle
     Di semplice acqua un sorso freddo, e molle.

L’acqua mossa da lui turbata ondeggia,
     E fa mover l’imagine, e la scaccia.
     Egli, pensando, che fuggir si deggia,
     Stende per ritenerla ambe le braccia.
     Quel moto fa, che l’ombra più vaneggia,
     E move in modo il viso, che minaccia.
     Ei nulla stringe, e torna à mirar fiso,
     E teme le minacce del suo viso.

Non sà quel, che si veda, ò che si voglia,
     Non trova quel, che cerca, e pure il vede.
     E questo è, che ’l consuma, e che l’addoglia,
     Che ’l perde allhor, che d’acquistarlo crede.
     Accresce il cupido occhio ogn’hor la voglia,
     E dona sempre à quell’error più fede.
     L’ombra è già ferma, e non minaccia, ò fugge,
     Ei mira, e più, che mai si sface, e strugge.

O misero, e infelice, che rimiri
     Più ’l simulacro tuo vano, e fugace?
     Non vedi, che colui, per cui sospiri,
     L’ombra è, che ’l corpo tuo ne l’onda face?
     Non vedi menticato, che t’aggiri,
     E che folle desio ti strugge, e sface?
     Ben puoi veder se sei insensato, e cieco,
     Che vai cercando quel, c’hai sempre teco.

Tu ’l porti sempre teco, e mai nol lassi,
     E starà sempre quì, fin che ci stai,
     E se quindi ritrar potessi i passi,
     Ti seguiria senza lasciarti mai.
     Io veggo gli occhi tuoi bagnati, e lassi,
     Ma non satij però de i finti rai.
     Tu lagrimi per lui, quei per te piange,
     E d’ambi il pianto in un s’incontra, e frange.

Hor l’ infelice innamorato, e stolto
     Vedendo pianger lui sì caldamente,
     Ne gli amorosi lacci il crede involto,
     E c’habbia anch’ei per lui calda la mente,
     Di novo apre le braccia, e china il volto,
     Quel con atti scambievoli consente,
     Questo da ver si china, ei s’alza, e finge.
     Questo di novo abbraccia, e nulla stringe.

Non la cura del cibo, ne del sonno
     Distorre il può dal radicato errore.
     Quel pensier nel suo cor già fatto donno
     Tutto il dà in preda à quel fallace amore.
     E gli occhi innamorati più non ponno
     Levarsi dal gioir del lor splendore,
     E di se stessi son vaghi di sorte,
     Che condurran quell’ infelice à morte.